Il problema è che con l’esposizione ripetuta ad un certo stimolo piacevole, ad esempio mangiando biscotti tutti i giorni, il piacere provato per il singolo biscotto diventa via via più debole e breve, mentre la reazione “dolorosa” del cervello diventa più forte e duratura. Così quell’esperienza, col tempo, diventa meno piacevole, e l’altalena rimane sbilanciata sul lato del dolore. Per avere lo stesso effetto di prima dobbiamo aumentare la dose, altrimenti diventiamo irritabili e ansiosi: ormai, insomma, siamo dipendenti. “Oggi è molto più facile cadere in una qualsiasi dipendenza – dal gioco d’azzardo, al cibo, dalla pornografia alle droghe – rispetto al passato, perché si sono moltiplicati i canali di accesso a queste esperienze” spiega Lembke. “Così quello stesso meccanismo cerebrale di equilibrio tra piacere e dolore che ha garantito alla nostra specie la sopravvivenza in un mondo di scarsità come quello preistorico, nella moderna società dell’abbondanza è dirottato di continuo dalla miriade di stimoli che ci tempestano”. Stimoli studiati apposta per inondare di dopamina il circuito della ricompensa. “Pensiamo ai social media: il loro uso provoca quel rilascio di dopamina che l’evoluzione ha previsto per motivarci a cercare il contatto con gli altri e vivere in comunità, impulso salvifico nel mondo brutale del Pleistocene” spiega Lembke.
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Troppa dopamina meno felicità
Sembra un paradosso ma non lo è. In una società ossessionata dalla ricerca del benessere va in crisi il delicato equilibrio cerebrale inventato per noi dall'evoluzione. Parola di psichiatra.
