Ovvero?
«Una leadership dittatoriale non ha alcuna possibilità di farcela con le nuove generazioni, tantomeno il meccanismo, molto anni Ottanta e Novanta, di ricompensare con ruoli dirigenziali la massima produttività. Ai loro manager oggi i giovani chiedono altro. Anzi, lo pretendono: vogliono trasparenza, inclusione, verità».
Nel libro sostiene che per essere leader consapevoli bisogna essere transformazionali: che cosa significa?
«Se vuoi essere alla guida di una società o di un gruppo, piccolo o grande che sia, devi essere di ispirazione. Per motivare i giovani, per convincerli a restare in azienda, bisogna coinvolgerli, entrare nelle loro menti. Millennial e Generazione Z vivono in una realtà connessa e integrata: il lavoro e la vita privata non sono divisi a compartimenti stagni come in passato».
Facciamo qualche esempio.
«Capita sempre più spesso che i dipendenti chiedano che l’azienda prenda una posizione netta su certe questioni. Sono sensibili al tema dell’inquinamento, alle diseguaglianze sociali. Non dimentichiamoci poi che la nostra vita è molto esposta al giudizio altrui, grazie ai social. Il privato emerge e determina, agli occhi di chi lavora per noi, il tipo di persona che siamo».
È dunque più complesso che in passato essere oggi un leader?
«Richiede maggior investimento su di sé, maggior impegno. Bisogna mettersi in gioco in prima persona».