Il quotidiano Il Sole 24 Ore pubblica un’intervista a Marc Randolph, co-fondatore e primo Ceo di Netflix fino al 2003, in occasione dell’uscita in Italia del suo libro Non funzionerà mai. Ecco di seguito una parte dell’intervista di Giampaolo Colletti.
People first. Le persone prima di tutto. Lo ripete come un mantra Marc Randolph, co-fondatore e primo Ceo di Netflix fino al 2003, puntellando così tutta l’intervista rilasciata via Skype in esclusiva per l’Italia dalla sua casa di Santa Cruz. Nel suo passato la direzione marketing di tante aziende, fino all’intuizione geniale di quell’impresa che nel tempo avrebbe cambiato il modo di produrre e distribuire contenuti di intrattenimento. Oggi Netflix macina 15 miliardi di dollari all’anno, ha una capitalizzazione in Borsa superiore ai 150 miliardi di dollari, conta oltre 150 milioni di abbonati e ben settemila dipendenti. Eppure tutto è iniziato nell’agosto 1997 a Scotts Valley con due milioni e mezzo di dollari investiti di Reed Hastings, l’altro co-fondatore. “Sembra incredibile, ma per crescere abbiamo messo al centro le persone. Il capitale umano fa sempre la differenza. Vale per le startup, ma anche per le aziende strutturate: far sentire le proprio persone parte di un sogno”, afferma Randolph, da pochi giorni in libreria con Non funzionerà mai, edito in Italia per Roi Edizioni. Il libro racconta la storia della nascita di Netflix tra retroscena, porte sbattute in faccia e rivincite personali che hanno portato negli anni una startup a rivoluzionare per sempre il settore dell’intrattenimento. Un titolo che riprende il pronostico totalmente sbagliato della moglie di Randolph. “Era la primavera del ’97, a pochi mesi dal lancio. Una sera a cena con mia moglie Lorraine parlavo di quella che sarebbe stata Netflix. E lei senza mezzi termini mi disse ‘non funzionerà mai’. In realtà quella era ancora un’idea embrionale e tanto sarebbe cambiata nel tempo”, precisa Randolph. Una storia legata ad un modo rivoluzionario per leggere gli interessi degli utenti. “Abbiamo cambiato radicalmente il concetto di intrattenimento, partendo dall’ascolto e dalla comprensione delle passioni dei consumatori. I dati sono essenziali, ma in sé valgono poco. Solo quando vengono tradotti e utilizzati per migliorare l’esperienza del cliente acquistano rilevanza”, dice Randolph.
Restiamo sui dati, mister Randolph. Sono stati da sempre una vostra ossessione?
Assolutamente sì. All’epoca catene come Blockbuster e Videodroid avevano database suddivisi per attori, registi, generi. Ma la maggior parte di quelle informazioni i clienti le avevano già sotto i loro occhi, nella copertina dei film. Nel nostro videostore volevamo mettere i clienti nelle condizioni di filtrare i titoli, partendo dai loro interessi in quel preciso istante.
Si parla di data economy in contrapposizione con l’elemento umano.
In realtà vedo un’alleanza proficua tra dati e uomo. La chiave per comprendere i bisogni anche latenti dei consumatori deve centrarsi su un’empatia, favorita dalla componente tecnologica.
Come è partita Netflix?
Non è stata il prodotto di riunioni, di una pianificazione accurata di lunghe tavole rotonde. Netflix è nata organicamente attraverso i valori condivisi di un team di persone che avevano già maturato parecchie esperienze di lavoro. Per noi era la possibilità di lavorare nel tipo di ambiente che avevamo sempre sognato, era l’occasione di fare le cose a modo nostro.
Come è arrivata l’intuizione?
È stata il frutto di un lungo percorso. Difficilmente le migliori idee ci colpiscono come un fulmine che si abbatte sulla cima di una montagna. Le epifanie sono rare. E quando sembrano dare origine a casi di successo, sono quasi sempre semplificate o totalmente false. Ci piacciono perché continuano ad alimentare un concetto romantico dell’ispirazione e del genio. La verità è che per ogni buona idea ce ne sono mille strampalate. E a volte può essere difficile cogliere la differenza.
L’intervista completa è stata pubblicata su Il Sole 24 Ore del 28 dicembre 2019