“Il libero arbitrio è solo un’illusione”

Intervista a Robert Sapolsky, biologo, etologo e neuroscienziato di Stanford
Telmo Pievani
8 Luglio 2024
Robert Sapolsky
Foto autore: Thompson McLellan

Pensate di aver preso una decisione autonoma? Vi sbagliate: il libero arbitrio è un’illusione. Robert Sapolsky, biologo, etologo e neuroscienziato di Stanford, abbraccia questa tesi spiacevolissima e la difende per oltre 600 pagine con argomenti stringenti e una vena brillante di ironia. Poiché nulla si origina dal nulla e ogni evento ha una casa antecedente, i nostri comportamenti sono determinati dal nostro cervello, dalle sue passate relazioni con l’ambiente e con gli altri sin dalla nascita, dalla storia evolutiva. Ne deriva che nessuno può essere considerato responsabile delle proprie azioni: niente più colpe né meriti, meno odio, meno gioia di punire e vendicarsi, più nessuna colpevolizzazione della malattia mentale. Ma l’autore giunge anche a conseguenze poco digeribili, come per esempio che non si possa scegliere di non essere assassini o pedofili. Molti filosofi pensano infatti che una visione del genre porterebbe al crollo delle nostre motivazioni e al collasso della società. Non certo Sapolsky, che collabora con i difensori d’ufficio nei processi. Gli abbiamo chiesto di raccontarci i risvolti di una tesi tanto radicale.

Chi sostiene l’esistenza del libero arbitrio, secondo lei, evoca un’entità magica sospesa nel nulla. Ma anche nella sua cascata di cause ed effetti cadiamo in un regresso infinito, fino al Big Bang. Perché preferire una serie senza fine di tartarughe piuttosto che un’ultima tartaruga su cui poggia il mondo? “Invertirei la questione. La sfida è che noi non vogliamo tartarughe infinite. Non sembra intuitivamente accettabile alla maggior parte di noi. Ecco perchè è così difficile convincere le persone a rifiutare il libero arbitrio”.

C’è un problema di limiti di conoscenza. Non sapremo mai perchè Adolf Hitler e Francesco d’Assisi si comportarono in modo così diverso: troppe cause intrecciate. Lei scrive che il fatto di non conoscere quelle cause non deve indurci a pensare che esse non esistano. Ma perché il fatto di non conoscerle dovrebbe portarci a pensare, al contrario, che essere certamente esistono? Non dovremmo restare agnostici? “Rifiuterei l’agnosticismo per due ragioni: il processo scientifico ci ha mostrato mille volte che cose che inizialmente non sembravano avere una causa poi hanno rivelato di averne; nessuno ha mostrato finora un percorso plausibile attraverso il quale le leggi fisiche possano essere aggirate per produrre comportamenti senza cause”.

Oggi si tende a invocare la meccanica quantistica per giustificare le più bizzarre teorie. Cosa c’è di sbagliato in questa moda? “Le persone spesso hanno la necessità di decidere che qualcosa che è imprevedibile allora è anche indeterminato. Ciò di cui spesso hanno ancor più bisogno è decidere che ciò che è imprevedibile sia anche magico”.

[…]

Lei scrive che sentirsi determinati da altro è angosciante e che sarebbe folle prendere sul serio tutte le implicazioni della non esistenza del libero arbitrio. Non capisco: pensa che la vita sarebbe migliore se rinunciassimo all’illusione della libertà, oppure, pur sapendo che non esiste, dobbiamo vivere “come se” il libero arbitrio esistesse? “No, ciò che dobbiamo fare tutti, me compreso, è combattere ogni circostanza in cui l’intuito ci dice che esiste il libero arbitrio, quei momenti in cui crediamo di essere nella posizione di giudicare moralmente chiunque altro, o di provare un senso di merito derivante da qualsiasi cosa abbiamo fatto”.

Leggi l’articolo completo su La lettura de Il Corriere della Sera

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