Avevo cinque anni quando entrai per la prima volta in uno stadio, a Roma. Stringevo forte la mano di mio papà mentre salivamo insieme gli alti scalini che mi costringevano ad alzare le ginocchia per raggiungere la tribuna, dove zio Giorgio ci aspettava con mio cugino. Gli spalti si stavano affollando di tifosi. Molti indossavano una maglietta dello stesso colore della sciarpa che in quel momento mio cugino mostrava fiero, tesa verso il campo. Zio Giorgio alzò il braccio per segnalarci la sua posizione e noi lo raggiungemmo facendoci strada fra la folla. Mio cugino Stefano, più grande di me, aveva una tale emozione che cominciava a contagiarmi. Papà e zio Giorgio confabulavano altrettanto eccitati. Non sapevo dare un nome a quello che provavo, ma era lì, un’onda che cresceva tutto intorno e dentro. Un’energia unica e contagiosa.
Guardai il campo in basso, le strisce bianche che lo delimitavano in una geometria che esprimeva semplicità e potere. Non avevo mai visto erba tanto verde, divisa in rettangoli e cerchi così perfetti.
Ma questo era niente a confronto di quello che avvenne quando la partita ebbe inizio. Non conoscevo le regole, non avevo idea di quanti particolari si nascondessero dietro ogni azione, ma sentivo che stava succedendo qualcosa di magico. Come potevano quegli omini che correvano avanti e indietro sul campo suscitare così tante emozioni? E mio padre… Anche lui infiammato da una passione e una vitalità incredibili. Lo guardavo attonita e notavo che quelle emozioni lo rendevano più bello, più forte. Quanta forza vitale nel modo in cui si agitava, gridava ed esultava! E non era il solo. Intorno a noi vedevo gente che piangeva, si arrabbiava, poi si abbracciava emettendo grida di gioia. Come ci riuscivano, che magia era mai questa?
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Manuela Nicolosi
Il coraggio di rompere gli schemi
La storia di una passione e della voglia di inseguire i propri sogni senza fermarsi davanti alle difficoltà