In Russia, i veri ricchi vengono chiamati oligarchi, un’espressione che è diventata sinonimo di controllo, potere e spietatezza. E Viktor (il cognome l’ho omesso per ovvi motivi di riservatezza) merita appieno questo appellativo. Il suo lussuoso ufficio si trova in cima a un’altura che si affaccia sulla Moscova. Siede a una scrivania presidenziale e ha al polso un orologio da favola, che ho già visto su un noto sito di articoli di lusso – il prezzo di listino è un milione di dollari. […]
La mia presentazione stava giusto entrando nel vivo, ma avevo già seri problemi. All’inizio, Viktor mi ascoltava con grande interesse, annuendo in segno di apprezzamento mentre gli illustravo la nostra tecnologia di sequenziamento genetico che avrebbe potuto salvare milioni di vite e rivoluzionare l’assistenza sanitaria. Quando mi sono fermato per fare una piccola pausa, ne ha approfittato per criticare la mia proposta in un inglese impeccabile: “Il vostro software contiene molti errori di sintassi e di calcolo.” Ma quando ho contestato la sua obiezione, descrivendo un contratto a prova di bomba che avevamo in corso con una grande azienda tecnologica americana, a conferma del buon funzionamento della nostra tecnologia, Viktor mi ha fissato senza espressione, e ha avuto bisogno dell’interprete per ogni singola parola, pur continuando ad apparire freddo e distaccato.
Siamo andati avanti così per un pezzo. Tutte le risposte che gli davo cadevano nel vuoto. Poi Viktor mi diceva: “Può spiegarmelo un po’ meglio?” e gli interpreti intervenivano avventurandosi in un lungo scambio dialettico che non portava da nessuna parte.
Ho dovuto spiegargli la nostra tecnologia nello stesso modo in cui avrei potuto insegnare al mio anziano vicino di casa a mandare un sms. “I dati genetici umani si possono paragonare a milioni di granelli di sabbia”, gli ho detto, usando una bizzarra analogia che mi era appena venuta in mente. Poi ho cominciato a gesticolare come un burattino appeso a un filo per sottolineare questo punto.
Viktor mi ha interrotto: “Non ha senso.”
Oddio. Aveva ragione. Non aveva proprio senso. La mia bocca stava dicendo delle cose che il mio cervello non aveva ancora approvato.
Stavo perdendo il controllo della trattativa. Ma dovevo continuare per forza. Così mi sono lanciato nella parte più eccitante della mia presentazione, descrivendo le nuove caratteristiche rivoluzionarie che ci assicuravano una posizione di preminenza assoluta nel mondo dei dati genetici. Poco prima che finissi, Viktor ha distolto lo sguardo da me, ignorando ostentatamente quello che stavo dicendo. Dandomi le spalle, ha parlato per qualche minuto in russo con il suo team di consulenti. Non sapevo se si aspettava che me ne andassi, che restassi in silenzio in attesa del suo “ritorno” o che inventassi qualche magia.