Nel corso degli anni successivi, ho iniziato a prefissarmi, come faccio oggi, di captare il linguaggio del corpo del pubblico. Le espressioni assenti significano che sto andando troppo veloce e devo rallentare. Le braccia incrociate indicano un atteggiamento difensivo o risentimento. Quanto a me, so che gesticolare o aggiustarmi troppo i capelli segnala la mia mancanza di sicurezza. Ciò mi ricollega a qualche anno fa, quando cominciai a sentir raccontare una storia dopo l’altra, tutte incentrate sul medesimo tema: i problemi di comunicazione nell’ambiente di lavoro.
Come dicevo poc’anzi, ho tenuto interventi e fornito consulenze a clienti in tutto il mondo, insegnando alle persone come collaborare meglio al lavoro. Le domande più comuni che mi sono state poste erano: come possiamo innovare in misura maggiore e farlo più velocemente capitalizzando sulla competenza dei dipendenti che padroneggiano il digitale, pur facendo leva su una forza lavoro esperta che rimane ancorata alle proprie modalità? E come possiamo convincere quei due gruppi a collaborare veramente l’uno con l’altro? Sempre più clienti e membri del pubblico di tutte le età esternavano alti gradi di paura, ansia e paranoia riguardo alla comunicazione nel proprio contesto lavorativo. I leader stavano facendo ciò che avevano sempre fatto – per esempio, condividere messaggi di sostegno e fiducia con i loro colleghi e team – eppure un numero crescente di quei messaggi veniva frainteso, mal interpretato o mancava del tutto il bersaglio. Quei leader non erano stupidi né privi di capacità relazionali, e molti avevano una buona conoscenza dei metodi più all’avanguardia per costruire culture aziendali forti.