In un modo o nell’altro, queste idee non mi hanno più abbandonato. Quindi, quando gli atleti degli sport d’azione hanno cominciato a compiere abitualmente imprese impossibili, ho pensato che ci fosse una formula. E anche che la formula potesse essere appresa. Ovviamente ho pagato quest’idea con ossa rotte e parcelle ospedaliere. In effetti, molto prima che capissi come questi atleti riuscivano a raggiungere l’impossibile, sono arrivato alla saggia conclusione che, se non avessi smesso di inseguirli mentre cercavano di realizzare l’impossibile, non sarei vissuto a lungo. Così ho trasferito la mia ossessione per questa domanda in altri ambiti. Nelle arti, nelle scienze, nella tecnologia, nella cultura, negli affari – praticamente, in ogni area immaginabile – sono andato a caccia della formula. Cosa occorre perché individui, aziende e persino istituzioni possano elevare i propri standard? Che cosa è necessario per realizzare innovazioni che costituiscono un cambiamento paradigmatico? E, in una frase, se riusciamo a superare l’enfasi e portare alla luce gli aspetti pratici, che cosa occorre per compiere l’impossibile?
Le risposte cui sono giunto sono state il contenuto della maggior parte dei miei libri. Tomorrowland è il risultato di una ricerca ventennale sugli innovatori anticonformisti che hanno trasformato idee fantascientifiche in tecnologia scientifica, quelli che hanno realizzato l’impossibile supremo: hanno sognato il futuro. In Bold ho analizzato le figure di alcuni imprenditori emergenti come Elon Musk, Larry Page, Jeff Bezos e Richard Branson, persone che hanno creato imperi imprenditoriali impossibili in tempi quasi da record e spesso in ambiti in cui nessuno credeva che fosse possibile avviare un’impresa. Abbondanza parlava di individui e piccoli gruppi che hanno affrontato e risolto sfide globali impossibili come la povertà, la fame e la mancanza d’acqua, sfide tanto grandi che solo un decennio prima erano di pertinenza unicamente di grandi aziende e importanti governi. E così via.