Per anni, mi sono osservata con sdegno mentre esprimevo giudizi. Mi sentivo un’imbrogliona. Eccomi, un’insegnante spirituale che passa il tempo a giudicare. Mi vergognavo per quel comportamento e pregavo spesso per trovare sollievo dalla propensione al giudizio. Volevo disperatamente liberarmi dall’abitudine al giudizio, ma le mie buone intenzioni non erano sufficienti. Con il passare del tempo, i giudizi mi svuotavano. Mi osservavo mentre parlavo in maniera negativa di qualcuno, senza ragione, oppure mi sentivo provocata ed esprimevo un giudizio riguardo a qualche circostanza che conoscevo solo attraverso le notizie trasmesse in Tv. Quei pensieri di bassa frequenza vibrazionale mi esaurivano. Mi sentivo impotente ed esausta a causa della dipendenza dal giudizio. Ma c’era un barlume di speranza: nel profondo sapevo che esisteva una soluzione spirituale al problema. La volontà di osservare e capire i miei giudizi e il desiderio di liberarmene erano sufficienti a guidare i miei passi. Ho esaminato con onestà le mie sensazioni, le convinzioni limitanti e le esperienze che si annidavano sotto la superficie del giudizio. Questa pratica mi ha aiutato a individuare alcuni schemi. [...]
Alcuni schemi di giudizio erano facili da individuare, mentre altri più difficili. Ho faticato in particolare a capirne uno e persino ad ammettere che fosse un giudizio. Ho notato che giudicavo alcune donne perché flirtavano con gli uomini e assumevano atteggiamenti sexy. Ero imbarazzata anche solo a osservare questo giudizio, perché risvegliava in me molti sentimenti difficili da affrontare: non ero disposta a indagare che cosa si nascondesse dietro quello schema. Poi l’Universo ha fatto per me quello che da sola non riuscivo a fare e sono stata guidata ad affrontare quello schema difficile, una volta per tutte. Ecco che cosa è successo. Mi ero assunta l’impegno di condurre un corso durante un ritiro di quattro giorni ma, per la prima volta, non mi limitavo ad organizzare l’evento e a insegnare, ma partecipavo. Era una dinamica nuova per me, che fino ad allora ero sempre stata in “modalità insegnante”. Conoscevo molti dei quarantacinque partecipanti all’evento e c’era parecchia complicità nel gruppo. Avevamo molto tempo libero e così c’era la possibilità di conoscerci meglio. Del gruppo faceva parte una donna che mi dava proprio sui nervi. Era bella, giovane, intelligente, divertente e sicura di sé.
Era completamente a proprio agio nel suo corpo e trasmetteva un’energia potente che era infantile e sexy al tempo stesso. Desideravo amarla, ma dentro di me non riuscivo a smettere di giudicarla. Continuavo a pensare “È una tale civetta!” I miei giudizi diventavano sempre più duri. Non ci è voluto molto tempo perché esprimessi a voce quei pensieri negativi. Vedete, la verità è che sono una chiacchierona. Se continuo a pensare a qualcosa, alla fine mi scapperà detto in maniera inopportuna. Ed è successo proprio così.
Una sera a cena sono passata accanto alla donna che stava parlando con un ragazzo seduto al suo tavolo. Erano attorniati da un gruppo di persone. L’ho guardata e le ho detto ad alta voce: “Ehi, sei proprio una civetta!” In quel momento ho visto lo sgomento e l’imbarazzo apparire sul suo volto. La sua energia si è spenta e lei si è voltata verso di me.
Ho pensato “Oh Cielo, ho fatto un disastro.” Subito mi sono sentita piena di vergogna e in colpa. Capivo quanto adesso lei riflettesse il mio giudizio e quanto l’avessi sconvolta. Mi sentivo in imbarazzo. Mi vergognavo soprattutto di aver trattato qualcuno così, proprio durante un ritiro. Il giudizio aveva avuto la meglio su di me. Dentro di me, sapevo di essermi comportata male, ma ho avuto bisogno di tempo per ammetterlo. In un primo momento ho cercato di minimizzare l’accaduto, non volevo assumermi la responsabilità di un’azione tanto schifosa. Nel profondo, però, sapevo di aver proiettato una mia ferita profonda su quella donna innocente. Il giorno successivo mi sono svegliata in preda alla vergogna e al senso di colpa. Le ho inviato un messaggio, in cui le scrivevo: “Incontriamoci a colazione.” Lei ha risposto: “Buona idea.”
Mentre eravamo a tavola, ho rotto il ghiaccio dicendole: “Mi spiace se ti ho offesa ieri sera, stavo solo scherzando.” Evidentemente, però, le mie scuse senza scuse non erano sufficienti. Mi ha detto che era arrabbiata per come l’avevo trattata e che sentiva che non stavo scherzando. Sentiva che quanto avevo detto affondava le radici in una sorta di risentimento negativo. Ho sentito le sue parole risuonare in me. E mi sono vergognata ancora di più. Piena di vergogna, avevo due possibilità. Potevo continuare a difendermi e a presentarle scuse vaghe, oppure potevo capire perché avessi espresso quel giudizio. Non sapevo quale direzione prendere, così ho pregato. In silenzio, ho chiesto allo spirito di intervenire in mio aiuto.
Mentre ero in silenzio, lei ha ripreso: “Sai, le tue parole mi hanno sconvolta perché mi vergogno molto di attirare l’attenzione degli uomini.” Poi ha continuato raccontandomi di aver recuperato di recente alcuni difficili ricordi rimossi che risalivano all’infanzia e che la facevano sentire in colpa perché suscitava l’attenzione degli uomini. Ecco il momento miracoloso. Ero seduta di fronte a quella donna innocente e ho cominciato a raccontarle che solo tre mesi prima anch’io mi ero ricordata di un trauma infantile. Ho ammesso che per più di trent’anni avevo vissuto la sessualità con sentimenti di colpa e di vergogna. E in quel momento ho potuto osservare la mia ferita. Mi sono scusata pienamente e sinceramente e ho detto: “La tua libertà sessuale ha suscitato in me vergogna. Mi ha fatto sentire come se non fossi abbastanza brava e come se ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Ecco perché ti ho giudicata.” In quel momento, abbiamo rivelato la verità e riconosciuto le nostre ferite. Eravamo in piedi, nella sala della colazione piena di gente, e ci siamo abbracciate piangendo. Piangevamo per i nostri traumi infantili, per la nostra innocenza perduta e piangevamo anche di gioia per la guarigione che stavamo ricevendo.
Quel momento di verità aveva dissolto le divisioni e l’aggressività. Aver trovato il coraggio di riconoscere le nostre ferite ha spazzato via ogni giudizio. In noi stesse e nell’altra abbiamo riconosciuto le nostre ferite, la vergogna e ciò che ci metteva a disagio. Riconoscendo queste ferite, abbiamo trovato la libertà. So che sono arrivata a quel momento grazie a una guida divina. Sono sicura che lo spirito mi abbia assegnato quel compito per mostrarmi una parte della mia ombra da guarire. Ricordate che, anche se siamo costantemente guidati, possiamo esercitare sempre il libero arbitrio. In quel momento potevo ritrarmi nell’oscurità della mia ombra o innalzarmi verso la luce. Ho scelto di innalzarmi nella luce. Quel compito spirituale mi ha permesso di riconoscere le mie ferite, ma c’era ancora del lavoro da fare. Esaminando da vicino i miei sentimenti, cominciavo a capire che il mio modo di reagire quando mi sentivo spaventata, inadeguata e bisognosa di protezione non corrispondeva in realtà a com’ero nel presente.
Era come se invece fossi una bambina innocente che cercava disperatamente di proteggersi dalla vergogna e dalla paura. La mia ritrovata consapevolezza del dolore che si nascondeva dietro i giudizi mi ha aiutato a vedermi con più amore e comprensione. Sono stata fiera di me per aver trovato il coraggio di affrontare l’oscurità e di individuare la ragione del mio comportamento. Sono riuscita a capire chiaramente come il tentativo di evitare la vergogna e la sofferenza irrisolte mi portassero a proiettarle verso l’esterno. Proiettavo vergogna e sofferenza sui miei amici, su mio marito e persino sugli estranei. Per tutta la vita avevo giudicato tutto e tutti intorno a me, per evitare di sentire la vergogna in me. Era una rivelazione importante che mi ha permesso di accorgermi di quanta tristezza ci fosse dentro di me e di come, proprio per sfuggire alla verità di quella tristezza, ricorressi al giudizio come principale arma di difesa.