Roberto Gorini
Il nuovo alfabeto del denaro: gli NFT
Cosa sono gli NFT, quando e come nascono, quali sono le loro potenzialità: Roberto Gorini spiega i nuovi strumenti dell'attuale economia digitale.
Tempo di lettura: 6 minuti
L’acronimo NFT significa Non Fungible Token, token non fungibile, ovvero un asset che ha un’informazione unica. Al contrario, una criptovaluta come ethereum è fungibile, nel senso che ogni ETH è uguale all’altro. Se invio un ETH a una piattaforma decentralizzata, quando richiedo indietro il mio ETH non è esattamente lo stesso, ma poco importa, è come il denaro: un dollaro è uguale a un dollaro, non importa se la banca mi restituisce esattamente quello. Nel caso di un NFT invece ogni asset (ogni token) è unico e diverso dagli altri, ogni CryptoPunk (la collezione forse più famosa della tipologia NFT) è unico e numerato. La differenza sostanziale è che nella tipologia dei token Ethereum, tutti i token che corrispondono al medesimo contratto sono indistinguibili, nella tipologia del contratto dei CryptoPunks ogni token è contraddistinto con un numero (Codice ID).
Un po’ di storia
Gli NFT nascono sulla blockchain di Ethereum, la prima che ha permesso la creazione degli asset univoci. Come abbiamo detto, è nata nel 2015, sei anni dopo Bitcoin. È interessante sapere che neppure Vitalik Buterin, fondatore di Ethereum, aveva previsto l’enorme sviluppo che avrebbero avuto gli NFT, lo ha candidamente dichiarato in più interviste. È una vera rivoluzione sociale, che ha stupito proprio tutti, e di cui si parla tanto, nel bene e nel male. Chi ha creato quindi lo standard per gli NFT? Difficile dirlo con esattezza, è un processo nato da collaborazioni e da codice open source a cui più persone si sono ispirate; ma se c’è qualcuno che ha visto nascere lo standard ERC721 (il primo standard degli NFT) e ci ha messo la firma è Dieter Shirley, il creatore dei CryptoKitties.
I CryptoKitties sono i primi NFT che hanno avuto un certo successo. I CryptoPunks, invece, nella loro forma primordiale non erano esattamente degli NFT, ma token standard associati in maniera univoca a degli indirizzi attraverso degli smart contract. Ora sono famosissimi e hanno un prezzo enorme perché vengono considerati archeologia digitale; ai tempi venivano regalati, mentre sui CryptoKitties c’era un gran mercato.
I CryptoKitties erano dei gatti digitali. Dieter aveva il problema di dover assegnare ai suoi gattini un’identità unica e allora modificò alcuni contratti token standard aggiungendo metadati e caratteristiche nuove per renderli unici. La collezione ebbe enorme successo, e nel novembre 2017 intasò letteralmente la rete di Ethereum e ne fece innalzare enormemente il Gas fee (le commissioni che si pagano sulla rete). Poco importa del perché questi gattini avessero successo, più o meno era lo stesso concetto dei collezionabili analogici, fatti di carta o plastica, ma questi erano digitali. Per la prima volta un oggetto che di per sé poteva essere duplicato all’infinito (l’immagine del gattino) diventava oggetto da collezione. Una rivoluzione sociale estremamente interessante, che più avanti cercheremo di capire.
Ma torniamo a Dieter. Dopo aver creato un contratto adatto alla propria collezione, assieme ad altri sviluppatori modificò il codice e, nel gennaio 2018, creo lo standard ERC721, quello che ancora oggi è utilizzato per la maggior parte delle collezioni NFT. Dal quel giorno la mania degli NFT è cresciuta costantemente e, se all’inizio erano utilizzati solo per alcune collezioni poco rilevanti, almeno da un punto di vista economico, in seguito hanno cominciato a essere apprezzati. Nel 2020 il fenomeno cominciò a diventare rilevante, per poi esplodere a settembre 2021, quando si raggiunsero prezzi di milioni di dollari per i collectibles più ricercati.
Come si crea
Chiunque può creare un NFT, basta un po’ di pratica, qualche conoscenza di base di informatica e una buona creatività. Ovviamente tutto ciò non garantisce il successo. Chiunque può avere una buona idea o creare un bel disegno, ma da qui a farlo apprezzare a tutto il mondo ce ne passa. Come al solito, le idee sono sopravvalutate. In ogni caso la creazione è accessibile quasi a tutti. Innanzitutto. bisogna decidere dove creare questo NFT, su quale chain. La prima nata (come sempre) per queste cose è Ethereum, ma oggi è molto costosa (nel momento in cui sto scrivendo creare un NFT può costare anche 50 o 100 dollari). Ci sono altre Blockchain su cui poter creare i propri NFT, molto più economiche: Polygon, Binance, Solana, Tezos, Flow ecc., ma meno prestigiose. Vale a dire che gli NFT più costosi sono sempre su Ethereum. Ad oggi, creare un NFT su Polygon è gratuito e lo si fa attraverso Opensea, il marketplace più importante di questo mondo. È un po’ l’Amazon degli NFT. Basta andare su opensea.io e cliccare su “create”.
Nella pratica, bisogna allegare all’NFT un’immagine, ma è possibile associare anche un video o un file musicale. Sono numerosi i formati supportati. Poi bisogna dare un nome al nostro NFT, inserire un link esterno, come un sito web che parla del progetto, una descrizione sintetica, e poi varie proprietà e caratteristiche dell’asset. Si può associare l’NFT a una precisa collezione, e si deve decidere se il contenuto è bloccato oppure no. Poi lo si mette sul mercato, gli si dà un prezzo, oppure si decide una base d’asta e una scadenza per l’asta. È il mercato che fa il prezzo: puoi scrivere qualunque cosa, ma finché non c’è qualcuno che è disposto a pagare, il prezzo è solo un desiderio. Quando si dice che un CryptoPunk o una Bored Ape (due tra le collezioni più costose) valgono
100 ETH, è perché più persone hanno già comprato a quel prezzo un pezzo della collezione. Una delle caratteristiche della Blockchain è la trasparenza, e anche in questo caso tutto è verificabile in tempo reale. Per vedere gli scambi di un NFT è sufficiente andare su opensea.io oppure looksrare.org, attualmente i siti che fanno più volumi di vendita.
Un NFT è per sempre?
Abbiamo detto che nella fase di creazione è possibile scegliere se i metadati e l’immagine (o il video o la musica) possono essere bloccati o aggiornabili. Questo è a scelta dell’autore, certo è preferibile che il contenuto non sia modificabile, ma ci sono eccezioni, se si tratta di un NFT che fa parte di una piattaforma di gioco, probabilmente l’asset risulterà modificabile, per permettere all’oggetto di adeguarsi alle evoluzioni del gioco. Parlando di opere d’arte sarebbe preferibile un contenuto non modificabile, ma anche se lo fosse, siamo sicuri che un NFT sia per sempre? La risposta è no.
Bisogna sapere che i metadati e il contenuto artistico non risiedono sulla blockchain (sia essa Ethereum, Polygon, Binance o Solana), ma in un server separato. Cosa c’è allora dentro la blockchain? Il contratto. Cerco di spiegarmi meglio: il token è il contenitore, il contenuto è da un’altra parte, ma nel token c’è un link al contenuto che in alcuni casi è immodificabile, ad esempio quando si utilizza un server IPFS (InterPlanetary File System) per depositarlo. Questo è un sistema di distribuzione decentralizzata di contenuti, è come un Dropbox frazionato su un network di computer che parlano attraverso un protocollo condiviso, in cui ogni file è unicamente identificato (tramite una funzione di hash, funzione di cui abbiamo già parlato in precedenza).
Utilizzando quindi i metadati bloccati e messo il contenuto su un sistema IPFS possiamo stare sicuri che il nostro NFT sia con noi per sempre? La risposta è ancora no. Il sistema di memorizzazione decentralizzato ci può garantire che il nostro contenuto corrisponda esattamente a quel link (risultato della funzione di hash) ma nessuno ci garantisce che il file resterà memorizzato nel network. Per essere estremamente sicuri che il nostro contenuto sia sempre visibile a richiesta, il collezionista dovrebbe avere un proprio nodo IPFS in cui caricare il contenuto stesso. È una spiegazione molto tecnica, se non l’hai capito non importa; ti basti sapere che a differenza dei token “normali”, quelli univoci, gli NFT, non risiedono tutti sulla blockchain, ma hanno bisogno di un server dove posizionare il contenuto. È come se sulla blockchain ci fosse memorizzata la cornice e su un altro computer il dipinto, collegati da un legame univoco.
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