Robert Dilts: «La chiave è: come gestiamo quel momento di crisi? Come troviamo l’opportunità di trasformarci?»
Vorrei farvi osservare come l’ideogramma cinese per “crisi” sia molto interessante: è la combinazione di altri due ideogrammi, uno indica il pericolo e l’altro indica l’opportunità. Quindi, ogni volta che ci troviamo in una crisi, significa che dobbiamo affrontare un’importante decisione. Una crisi, ovviamente, fa paura, perché c’è un momento di disgregazione, un pericolo, che potrebbe portare a risultati negativi. Quindi l’aspetto rilevante è che, in una crisi, si deve scegliere con saggezza. Se non faccio nulla, sto comunque prendendo una decisione e quello che accadrà successivamente potrà essere addirittura peggiore, o quanto meno negativo. Quindi, in un momento di crisi, è molto importante prendere una decisione. Spesso, tuttavia, accade che le persone cerchino solo di allontanarsi dal risultato negativo, senza avere ben chiaro quale sia l’obiettivo positivo da raggiungere. In inglese, ma mi sembra che ci sia un modo di dire analogo anche in italiano, diciamo: “Cadere dalla padella nella brace.” Il significato è esattamente questo: per allontanarci da una situazione negativa, la padella, finiamo in una ancora peggiore, la brace. Ed è questo che rende la crisi ancora più difficile e pericolosa.
In questi momenti di crisi, la cosa più importante è fermarsi e prendersi un momento per porsi la domanda: “Dove voglio andare?” Anche se non so esattamente dove voglio arrivare, devo conoscere almeno la direzione verso la quale voglio andare. Quindi, in questa occasione, voglio fornirvi alcuni strumenti, alcune strategie, alcuni modi per lavorare con le nozioni di crisi, trasformazione e transizione. Si sente dire spesso che il cambiamento è l’unica costante. Ed è proprio per questo che dobbiamo avere il coraggio di cambiare. Se non abbiamo il coraggio di cambiare costantemente, allora finiremo per cambiare solo durante le crisi. È quello che vedo accadere in molti dei miei clienti; non solo individui, ma anche aziende e organizzazioni. Una delle cose di cui dobbiamo renderci conto è che se non cambiamo volontariamente, saremo costretti a cambiare, perché viviamo in un mondo che evolve sempre più velocemente.
Se pensiamo a quarant’anni fa, il tasso di cambiamento nella tecnologia e nella società era molto inferiore rispetto a quello dei nostri giorni. Il nostro mondo è in continua evoluzione e, se non manteniamo il passo, ci troveremo a dover affrontare una crisi. Quindi, dobbiamo imparare a chiederci come possiamo continuare a procedere su questo sentiero caratterizzato da rischio, pericolo e opportunità. Nella prospettiva della crisi, della transizione e della trasformazione, se riusciamo a mantenere una direzione, una rotta, allora accade che tutto il nostro essere inizia a riorganizzarsi e, talvolta, più grande è il cambiamento, più profonda è la riorganizzazione. L’ho visto accadere moltissime volte nelle organizzazioni.
Vi faccio un esempio. Nel 1980, ho iniziato a lavorare con la Apple Computer. È stata il mio primo grosso cliente. A quel tempo, si chiamava proprio Apple Computer, non come adesso che si chiama solo Apple. Perché ha cambiato nome? Perché il mondo è cambiato così tanto che, attualmente, il loro prodotto principale è costituito dai telefoni, dagli iPhone, non più dai computer. Il mondo è cambiato così tanto in questi ultimi trentacinque anni che l’intera identità dell’azienda si è modificata. Accade spesso in seguito a una crisi; se sei capace di gestirla, se riesci a rimanere resiliente, allora cresci, evolvi, diventi effettivamente qualcosa di diverso. Questa è l’idea che sta alla base del concetto di trasformazione: la crisi ci permette di diventare qualcosa di più grande.
Vi faccio un altro esempio. Circa cinque anni fa, a mia moglie è stato diagnosticato un cancro al seno. Un evento di questo tipo costituisce una grande crisi, perché porta con sé, tra le altre cose, la paura e un grande pericolo. Ma ciò che è importante capire è che non c’è solo il pericolo. Mia moglie e io abbiamo fatto una scoperta, quando ci è stata presentata questa diagnosi. Ci siamo resi conto che non si trattava solo di un pericolo, di un potenziale disastro, ma anche di un’opportunità. E in effetti, mia moglie l’ha davvero usata come l’opportunità per realizzare una trasformazione personale.
Giorgio Nardone: «Cos’è il coraggio? Oltre a essere la paura vinta, è la responsabilità di costruire la propria vita, senza delegare a qualcun altro.»
Come vedete, questo è un meccanismo razionale, ma si tratta di una razionalità che va un po’ fuori dai canoni della razionalità normale. Dialogo con me stesso e mi pongo delle domande, le cosiddette domande strategiche: mi metto di fronte alla situazione e indago se quello che mi viene da fare mi provocherà più effetti benefici o negativi, se la mia sofferenza diminuirà o aumenterà. Se sono stato abbastanza bravo a eliminare gli orpelli dell’autoinganno, mi renderò conto che l’evitare di affrontare una determinata
situazione sarà un modo per far peggiorare la mia condizione e non per farla migliorare. In questo modo, si costruisce dentro di me una reazione spontaneamente sovversiva contro quello che mi verrebbe da fare se fossi dominato dalla paura: la paura più grande mi spingerà a superare la paura più piccola, di corsa. Come vedete, quello che sto facendo è innescare, volontariamente e razionalmente, una reazione spontanea naturale paleoencefalica. Se creo una paura più grande, dentro di me ci sarà l’allarme per quella paura più grande, che tenderà a farmi affrontare la paura in corso. Quindi non è che non si debbano utilizzare processi ragionevoli o processi razionali, quello che bisogna fare è utilizzarli per costruire qualcosa che non sia un atto di volontà, ma l’effetto a catena dell’innesco di un meccanismo. Come una palla di neve che, rotolando e rotolando, si trasforma in valanga. Quello che posso fare volontariamente è lanciare la palla di neve, non la valanga.
Questa è l’arte dei cambiamenti geometrico-esponenziali che vedremo più avanti: creare un fenomeno minimale che inneschi una reazione a catena fino all’effetto massimale. A questo punto, potete vedere come diventare coraggiosi sia un modo di approcciarsi all’esistenza, fondato sulla paura, che sfrutta le nostre risorse di base. Aristotele diceva che l’eccellenza è un’attitudine, un atteggiamento verso la vita – e aveva ragione –, ma diceva anche un’altra cosa interessante: “Noi siamo quello che facciamo continuamente e ripetutamente.” Qual è il meccanismo che ci frega più di tutti gli altri? Il meccanismo delle abitudini che ci asserviscono dolcemente. Non prestiamo abbastanza attenzione al fatto che tendiamo a ripetere copioni e che questi copioni – badate bene – non sono il frutto di un istinto di morte freudiano o di relazionali negative familiari; al contrario sono il frutto di ciò che ha avuto successo.
La nostra “psicotrappola” peggiore è proprio quella di mettere in atto, ripetutamente, ciò che nel nostro passato ha funzionato e ci ha fatto ottenere il successo. Ripetiamo quello stesso comportamento, come se fosse una soluzione universale. Ma il fatto che due situazioni si somiglino non significa che siano identiche. Quindi io sono convinto di mettere in atto qualcosa che funzionerà, perché ha funzionato in una situazione simile, ma in realtà lo applico a qualche cosa che ha un meccanismo diverso. Come conseguenza,
si produrrà un effetto disfunzionale invece che un effetto funzionale.