Viviamo in un’ epoca di opportunità mai viste prima: chi è dotato di ambizione e intelligenza può salire fino ai vertici della professione che ha scelto, indipendentemente dal suo livello di partenza. Ma l’ opportunità porta con sé la responsabilità. Le aziende di oggi non si curano più di gestire le carriere dei propri collaboratori; i lavoratori della conoscenza devono essere, a tutti gli effetti, gli amministratori delegati di se stessi. Spetta a ciascuno di voi ritagliarsi il proprio posto, sapere quando cambiare direzione, mantenersi attivo e produttivo nel corso di una vita lavorativa che può durare cinquant’anni o più. E per fare bene tutto questo, è indispensabile coltivare una profonda comprensione di se stessi – dei propri punti di forza e di debolezza, ma anche del proprio modo di imparare e di lavorare con gli altri, dei propri valori e dell’ ambito in cui si è capaci di dare il contributo più rilevante. Perché solo partendo dai propri punti di forza si può raggiungere la vera eccellenza.
I grandi protagonisti della storia – i Napoleone, i Leonardo da Vinci, i Mozart – hanno sempre gestito se stessi. Ed è questo, in larga misura, che ha permesso loro di conseguire risultati straordinari. Ma si tratta di rare eccezioni, di figure così uniche, sia per talento sia per traguardi raggiunti, da potersi considerare fuori portata rispetto ai comuni esseri umani. Ora invece la maggior parte di noi, compresi i meno dotati, dovrà imparare ad autogestirsi. Dovremo imparare a prenderci cura della nostra crescita. Dovremo trovare il nostro posto là dove possiamo dare un contributo più grande. E dovremo mantenerci mentalmente attivi e impegnati nell’arco di una carriera lunga cinquant’anni, consapevoli di quando e come cambiare la nostra attività lavorativa.
QUALI SONO I MIEI PUNTI DI FORZA?
Siamo quasi tutti convinti di sapere che cosa sappiamo fare bene. E in genere sbagliamo. È più facile riconoscere quello che non sappiamo fare – eppure, anche su questo la maggior parte di noi non sa dare un giudizio corretto. E tuttavia possiamo fare bene solo partendo dai nostri punti di forza. Nessuno può ottenere risultati significativi basandosi sui propri punti deboli, né tantomeno su ciò che non sa fare per niente. Fino a poco tempo fa nessuno ha mai avuto seriamente bisogno di conoscere i propri punti di forza. Si nasceva destinati a occupare una posizione e un livello preciso nel lavoro: il figlio di un contadino avrebbe fatto il contadino; la figlia di un artigiano sarebbe diventata la moglie di un artigiano; e così via. Ma oggi possiamo scegliere. E abbiamo bisogno di conoscere i nostri punti di forza per sapere qual è il nostro posto nel mondo, la nostra vocazione.
L' unico modo che ci permette di scoprire i nostri punti di forza è l’analisi del feedback. Ogni volta che prendete una decisione chiave o vi impegnate in un’azione importante, scrivete il risultato che vi aspettate di ottenere. Nove o dodici mesi dopo, confrontate le vostre aspettative con ciò che è realmente accaduto. Uso questo metodo da quindici o vent’anni e ogni volta che lo applico mi sorprendo. L’analisi del feedback mi ha permesso di capire, per esempio – e con mia grande sorpresa – che ho una capacità innata di capire al volo le persone con una formazione tecnica, che siano ingegneri, contabili o ricercatori di mercato. E che, per contro, non riesco proprio a entrare in sintonia con i profili generalisti. Utilizzato con costanza, questo semplice metodo vi permetterà di scoprire in un arco di tempo relativamente breve, forse due o tre anni, dove risiedono i vostri punti di forza – e questa è l’informazione più importante da sapere. Il metodo vi consentirà di scoprire quali comportamenti, tra quelli che state mettendo in atto, o che non state mettendo in atto, vi impediscono di godere di tutti i benefici che i vostri punti di forza potrebbero regalarvi. Vi metterà in condizione di individuare le aree in cui non siete particolarmente competenti. E infine vi rivelerà in quali ambiti non possedete alcun punto di forza e non avete quindi alcuna possibilità di riuscita.
Sono numerose le implicazioni pratiche che discendono dall’analisi del feedback. In primo luogo, e innanzitutto, concentratevi sui vostri punti di forza. Collocatevi là dove i vostri punti di forza possono permettervi di ottenere risultati. In secondo luogo, impegnatevi a migliorare i vostri punti di forza. L’analisi vi darà modo di capire rapidamente in quali ambiti avete bisogno di migliorare le vostre capacità o di acquisirne di nuove. E vi aiuterà a individuare le lacune nelle vostre conoscenze – che in genere è possibile colmare. Matematici si nasce, ma tutti possono imparare la trigonometria.
Terzo, cercate di scoprire se la vostra arroganza intellettuale è causa di ignoranza disabilitante, e fate di tutto per superarla. Troppe persone – specialmente chi è dotato di grande competenza in un’ area specifica – tendono a disprezzare altri ambiti di conoscenza o a convincersi che l’intelligenza possa sostituirsi al sapere. Ci sono brillanti ingegneri, per esempio, che si compiacciono di non capire nulla delle persone. Gli esseri umani, pensano, sono davvero troppo disordinati per la mente superiore di un ingegnere. I professionisti delle risorse umane, per contro, spesso si vantano di ignorare completamente i principi elementari della contabilità o dei metodi quantitativi. Ma farsi vanto di questo genere di ignoranza è controproducente. Mettetevi al lavoro per acquisire le capacità e le conoscenze che vi servono per sviluppare pienamente i vostri punti di forza.
È altrettanto essenziale porre rimedio alle cattive abitudini – le cose che fate, o che mancate di fare, e che inibiscono la vostra efficacia e la vostra prestazione. Queste abitudini risulteranno ben presto evidenti grazie all’ analisi del feedback. Per esempio, una persona che si occupa di pianificazione potrà scoprire che i suoi piani, per quanto perfetti, falliscono perché non li persegue fino in fondo. Come molte persone brillanti, si convincerà che le sue idee possano muovere le montagne. In realtà, per muovere le montagne ci vogliono i bulldozer; le idee possono solo indicare alle macchine dove andare a scavare. Questa persona dovrà imparare che il lavoro non finisce quando si è terminato di redigere il piano. Dovrà ancora trovare persone a cui affidarne l’esecuzione e spiegarglielo. Dovrà adattarlo e modificarlo man mano che lo metterà in atto. E infine dovrà decidere quando smettere di perseguirlo.
Allo stesso tempo, il feedback rivelerà anche se il problema consiste in una mancanza di cortesia. Le buone maniere sono il lubrificante di ogni organizzazione. Per una legge di natura, due corpi in movimento che entrano in contatto fra di loro creano attrito. Vale per gli esseri umani così come per gli oggetti inanimati. La buona educazione – semplici gesti come dire “per favore” o “grazie”, conoscere il nome di battesimo della persona cui ci si rivolge o informarsi sulla sua famiglia – permette a due persone di lavorare insieme, che si piacciano o no.
Confrontare le proprie aspettative con i risultati permette di scoprire anche cosa non fare. Tutti noi abbiamo un’infinità di ambiti nei quali non abbiamo talento, né capacità, né la minima possibilità di diventare nemmeno mediocri. In questi ambiti nessuno – tantomeno un lavoratore della conoscenza – dovrebbe intraprendere alcuna attività, alcun incarico né alcun lavoro. Bisognerebbe sprecare il minor tempo possibile nel tentativo di migliorare le aree di scarsa competenza. Ci vogliono di gran lunga più fatica e più energia per passare dall’incompetenza alla mediocrità, che da una prestazione ottima a una eccellente. Eppure quasi tutti – in special modo la maggior parte degli insegnanti e delle organizzazioni – si danno da fare per cercare di trasformare gli incompetenti in mediocri. Quando invece dovrebbero dedicare energie, tempo e risorse a fare della persona competente una vera e propria stella.
QUAL È LA MIA VOCAZIONE?
Solo un ristretto numero di persone scopre molto presto la propria vocazione. I matematici, i musicisti e i cuochi, per esempio, di solito sono matematici, musicisti e cuochi già quando hanno quattro o cinque anni. I medici solitamente decidono la loro carriera negli anni dell’adolescenza, se non prima. Ma molte persone, soprattutto le più dotate, non riescono a trovare il loro posto nel mondo se non ben oltre i venticinque anni. Raggiunta quell’età, infatti, dovrebbero conoscere le risposte a queste tre domande: “Quali sono i miei punti di forza? Come lavoro? Quali sono i miei valori?” E a quel punto possono, e dovrebbero, stabilire qual è la loro vocazione. O piuttosto, dovrebbero saper stabilire quale non è la loro vocazione. Chi ha capito di non poter dare il meglio di sé in una grande organizzazione dovrebbe saper rifiutare una posizione al suo interno. Chi ha capito di non essere tagliato per decidere dovrebbe saper dire di no a un compito che implica prendere decisioni. Un generale Patton (che forse non l’aveva capito) avrebbe dovuto saper rifiutare un comando indipendente. Cosa non meno importante, conoscere la risposta a queste tre domande ci mette in condizione di rispondere a un’offerta o a un compito che ci viene assegnato, dicendo per esempio: “Sì, lo faccio. Ma dovrei farlo così. Dovrei strutturarlo così. Il rapporto dovrebbe essere così. E questi sono i risultati che dovreste aspettarvi da me, in questo determinato lasso di tempo, perché io sono così.”
Le carriere di successo non sono pianificate. Si sviluppano quando le persone sono pronte a cogliere le opportunità perché conoscono i propri punti di forza, i propri metodi di lavoro e i propri valori. Sapere qual è la propria vocazione può trasformare una persona ordinaria – solerte e competente, ma per altri versi mediocre – in una persona di successo.