Tutto inizia sempre da una mancanza.
La parola desiderio deriva dal latino ed è composta dal prefisso “de-”, che ha un’accezione privativa, e dal sostantivo sidus, sideris, che significa “stella”. Desiderare vuol dire quindi “sentire la mancanza delle stelle”, avvertire l’assenza di qualcosa di alto, di grande e soprattutto di un orizzonte che vada oltre la nostra attuale condizione e in qualche modo anche oltre noi stessi.
Il desiderio, infatti, si distingue dal bisogno, che è qualcosa che riguarda invece esclusivamente le necessità fisiche o psicologiche e che solitamente sentiamo come impellente, da soddisfare il più rapidamente possibile per non compromettere il nostro equilibrio psico-fisico. Ho bisogno di bere acqua, altrimenti vado in uno stato di disidratazione. Ho bisogno di soldi, altrimenti non posso pagare l’affitto. Ho bisogno di rallentare il mio ritmo di vita, altrimenti l’ansia mi consumerà.
Alcuni bisogni possono essere percepiti in modo prepotente, incontenibile e soprattutto continuativo: in questi casi si parla di “compulsione” (si pensi a ciò che percepisce un fumatore quando sente un bisogno irrefrenabile di accendersi una sigaretta via l’altra). Nel desiderio, invece, non ho necessità di consumo immediato, posso rimandare la soddisfazione, posso aspettare. E in questa sospensione tra ciò che provo e quel che vorrei che arrivasse, il desiderio si affina, diviene più chiaro, più definito, più consapevole.
Ma da dove arrivano i nostri desideri? I desideri hanno una radice profonda e complessa, legata ai nostri affetti, ai nostri valori, alla nostra memoria e all’intera storia della nostra vita. Hanno a che fare con mancanze che abbiamo vissuto nell’infanzia o con vuoti che percepiamo rispetto alla condizione che stiamo attualmente vivendo, o ancora con qualcosa verso cui tendere, un orizzonte nutriente, benefico, illuminante.
Un’altra caratteristica dei desideri è che hanno soprattutto a che fare con la sfera dell’immaginazione, della fantasia o degli scenari futuri e non sono sempre riferibili a un oggetto concreto e immediato. Il desiderio mira alle stelle, a ciò che potremmo definire come qualcosa che sta oltre la nostra condizione materiale, oltre la nostra limitatezza, perché guarda a una realtà fondamentale, guarda a ciò che dà, proprio come fanno le stelle, orientamento e capacità di navigazione nella vita, e quindi significato e senso al nostro agire.
I bisogni, che riguardano le esigenze fisiche o psicologiche, sono contingenti e passeggeri e, soprattutto, una volta soddisfatti conducono a un appagamento, a una saturazione che spesso finisce per lasciarci insoddisfatti e vuoti, perché non va in profondità. Il desiderio ci mostra invece la trascendenza dell’essere umano, perché ci aiuta a vedere oltre l’urgenza immediata e spesso egocentrica della necessità di qualcosa di materiale o comunque di effimero.
Ma per non confondere il desiderio con il bisogno (o, peggio ancora, con la compulsione) dobbiamo riconoscerlo e educarlo. Occorre orientare i nostri desideri alle stelle, a qualcosa di grande, a qualcosa che possiamo identificare, a ogni età e qualsiasi sia la nostra condizione, come la nostra stella polare. Il mondo dei desideri ci rivela che possiamo davvero desiderare cose grandi, immense, pur essendo imperfetti e fallaci e che, con tutte le nostre difficoltà, ferite, fatiche, possiamo rivolgerci alle stelle, possiamo guardare a un orizzonte più ampio di quello che siamo abituati a vedere.
Educarci al desiderio significa imparare ad affidarsi a ciò che ancora non c’è, a un mistero, a un rischio, a qualcosa che può sorprenderci e allargare di senso la nostra esistenza. Da un punto di vista spirituale significa affidarsi a qualcosa di altro e di più alto di noi. San Paolo scrisse: “Occhio non vide, orecchio non intese, né mai in cuore entrò, quel che Dio tiene in serbo per quanti a Lui si affidano.” Affidarsi al futuro significa imparare a desiderare e imparare ad avere fede nei propri desideri, in ciò che sentiamo di più profondo e stimolante dentro di noi, che non ha necessità di essere immediatamente consumato, ma che ci spinge, attraverso una fervente attesa, a essere di più e meglio di quello che siamo. Papa Benedetto XVI ha detto: “Ogni uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; possiamo dire che ogni uomo porta in sé il desiderio di Dio.”
Anche la nostra piena realizzazione terrena, umana, professionale, sentimentale, deve partire da un desiderio e dalla capacità di non avere paura di esprimerlo e di ricercarlo. Occorre un atto di fede, che sia una fede spirituale o una fede nel futuro, o in noi stessi, per consentirci di accendere la scintilla del desiderio. Occorre dar retta alla parte più autentica di noi e ricordarci che, come disse mirabilmente Bob Marley: “Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella, se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo, se stai guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa.”