Questa è la storia di come un produttore di componenti hardware per il gaming sia diventato l’azienda di maggior valore al mondo. È la storia di un imprenditore ostinato che per trent’anni ha portato avanti la sua visione radicale dell’informatica, mentre diventava uno degli uomini più ricchi della Terra. È la storia di una rivoluzione nel mondo del silicio e di un piccolo gruppo di ingegneri ribelli che hanno sfidato Wall Street per renderla possibile. È anche la storia della nascita di una nuova, straordinaria e inquietante categoria di intelligenza artificiale le cui implicazioni a lungo termine per l’umanità restano un’incognita.
Al centro di questa storia c’è un uomo dinamico, imprevedibile, geniale e incredibilmente dedito al suo lavoro. Si chiama Jensen Huang e, con i suoi trentadue anni alla guida della stessa azienda, detiene il primato di longevità tra i CEO delle società tecnologiche dell’S&P 500. Huang è un inventore visionario la cui conoscenza del funzionamento interno dei circuiti elettronici rasenta l’intimità. Comincia a ragionare su ciò che i microchip sono in grado di fare oggi, per poi scommettere con incrollabile convinzione su ciò che potranno fare domani. Non sempre vince, ma quando ci riesce, lo fa in grande: la sua scommessa iniziale di puntare tutto sull’intelligenza artificiale si è rivelata uno degli investimenti più fruttuosi nella storia della Silicon Valley. Oggi la società di Huang, Nvidia, vale oltre tremila miliardi di dollari, tenendo testa sia a Apple sia a Microsoft in termini di capitalizzazione.
Di persona, Huang è affascinante, divertente, autoironico e spesso contraddittorio. Il suo tono è sempre impercettibilmente sarcastico. Ci siamo incontrati nel 2023, a colazione, in un ristorante Denny’s, la sua catena preferita. Aveva sviluppato il business plan di Nvidia proprio in quel ristorante trent’anni prima; chiacchierando con la cameriera, ha ordinato sette portate, tra cui un panino Super Bird e una cotoletta di pollo. “Sa, un tempo facevo il lavapiatti qui”, le ha detto. “Ma lavoravo sodo! Davvero sodo. Così sono diventato aiuto cameriere.”
Huang, nato a Taiwan, emigrò negli Stati Uniti quando aveva dieci anni. Il Denny’s fu il simbolo della sua integrazione: lavorando lì da adolescente, assaggiò l’intero menu. Tuttavia, mi ha detto, conservava ancora la prospettiva di un outsider. “Si è sempre immigrati”, ha affermato. “Io sarò sempre cinese.” Co-fondò Nvidia (pronunciato IN-vidia, e non NUH-vidia) nel 1993, all’età di trent’anni, puntando in un primo momento sul nascente mercato della grafica per videogiochi di fascia alta. I suoi prodotti ebbero subito successo: ai clienti piaceva assemblare i propri pc, e alcuni acquistavano dei case trasparenti per mettere in mostra le componenti hardware Nvidia.
Alla fine degli anni Novanta, nel tentativo di migliorare la resa grafica della serie di videogiochi Quake, Nvidia apportò una piccola modifica all’architettura dei circuiti dei suoi processori, permettendo di risolvere più problemi contemporaneamente.
Questo approccio, noto come “calcolo parallelo”, fu un azzardo. “L’indice di successo del calcolo parallelo era pari a zero prima
che arrivassimo noi”, ha dichiarato Huang snocciolando una lista di startup finite nel dimenticatoio. “Letteralmente zero. Chiunque abbia cercato di farne un business ha fallito.” Huang ignorò questo sconfortante bilancio, perseguendo la sua visione non convenzionale e sfidando Wall Street per oltre un decennio. Cercò clienti al di fuori del mondo del gaming, persone che avessero bisogno di una grande potenza di calcolo: meteorologi, radiologi, cercatori di petrolio offshore e altri ancora. In quel periodo il prezzo delle azioni di Nvidia era basso, e lui dovette difendersi dai tentativi di scalata per tenersi stretto il suo ruolo. Huang portò avanti la sua scommessa, perdendo denaro per anni, finché nel 2012 un gruppo di accademici dissidenti di Toronto non acquistò due schede grafiche per videogiochi per addestrare una nuova tipologia di intelligenza artificiale nota come rete neurale.
All’epoca le reti neurali, che imitano la struttura dei cervelli biologici, non suscitavano molto interesse e la maggior parte dei ricercatori le riteneva giocattoli obsoleti. Ma, quando vide con quanta rapidità quelle reti potessero essere addestrate sulla sua piattaforma di calcolo parallelo, Huang decise di puntare l’intera azienda su questa inaspettata sinergia. A quel punto aveva bisogno che due tecnologie considerate un fallimento funzionassero: due tecnologie che, fino a quel momento, non avevano mai superato la prova del mercato.
Quando questa audace scommessa si rivelò vincente, il valore di Nvidia aumentò di diverse centinaia di volte. Nell’ultimo decennio l’azienda è passata dalla vendita di accessori per il gaming al prezzo di duecento dollari alla fornitura di apparecchiature di supercalcolo da milioni di dollari, in grado di occupare interi edifici. Collaborando con pionieri come OpenAI, negli ultimi dieci anni Nvidia ha aumentato la velocità delle applicazioni di deep learning di oltre mille volte. Tutte le principali applicazioni di intelligenza artificiale (Midjourney, ChatGPT, Copilot e molte altre) sono state sviluppate su macchine Nvidia. È stato proprio questo aumento senza precedenti della potenza di calcolo a rendere possibile il boom dell’intelligenza artificiale moderna.
Grazie al suo monopolio pressoché totale sull’hardware, Huang è probabilmente la persona più potente nel mondo dell’intelligenza artificiale. Di certo è colui che ne ha tratto il maggior profitto. Nella tradizione di chi è riuscito a fare fortuna, la sua figura ricorda quella del primo milionario della California, Samuel Brannan, celebre venditore di attrezzature per cercatori d’oro nella San Francisco del 1849. Ma anziché badili, Huang vende chip per l’addestramento dell’intelligenza artificiale del valore di trentamila dollari, ognuno contenente cento miliardi di transistor. Il tempo di attesa per poter acquistare le sue componenti hardware di ultima generazione è attualmente superiore a un anno, e sul mercato nero cinese i suoi chip vengono venduti al doppio del prezzo ufficiale.
Huang non ragiona come un uomo d’affari, ma come un ingegnere: scompone concetti complessi in principi essenziali, e li sfrutta con grande efficacia. “Faccio il possibile per non finire schiacciato dal mercato”, mi ha detto durante la nostra colazione.
“Faccio tutto il possibile per non fallire.” Huang è convinto che, grazie all’intelligenza artificiale, l’architettura di base del calcolo digitale, rimasta pressoché invariata da quando IBM l’ha introdotta nei primi anni Sessanta, stia subendo una trasformazione. “Il deep learning non è un algoritmo”, mi ha detto. “Il deep learning è un metodo. È un nuovo modo di sviluppare software.”
Questo nuovo software ha capacità straordinarie. Può parlare come un essere umano, scrivere una tesina, risolvere un problema matematico complesso, formulare una diagnosi e condurre un podcast. Si adatta alla quantità di potenza di calcolo disponibile e non sembra mai raggiungere un limite. La sera prima della nostra colazione, avevo visto un video in cui un robot, basato su questa nuova tipologia di software, si guardava le mani dando l’impressione di riconoscerle, per poi riordinare una serie di mattoncini colorati. Il video mi aveva fatto venire i brividi: l’obsolescenza della mia specie mi era sembrata imminente. Huang, arrotolando con le dita un pancake attorno a una salsiccia, ha liquidato i miei timori. “So come funziona, non è niente di speciale”, ha commentato. “Non è poi così diverso da un forno a microonde.” L’ho incalzato: un robot autonomo presenta certamente dei rischi che un forno a microonde non comporta. Ha risposto che la tecnologia non lo aveva mai preoccupato, nemmeno per un istante. “Non fa altro che elaborare dati”, ha detto. “Ci sono moltissime altre cose di cui preoccuparsi.”