Sebastiano Zanolli
Nuove abitudini
Le nuove generazioni di lavoratori
Tempo di lettura: 3 minuti
Il mondo del lavoro oggi assomiglia a una torre di Babele che sembra aspirare a una migliore condizione personale, piuttosto che a Dio. Il che non è necessariamente un male se interpretiamo questo momento come una fase di passaggio e di ricerca di significato. Anzi, è piuttosto lecito. Ma, a differenza di quanto accade nella torre in mattoni nel Sennaar, credo che in questo nuovo scenario la pluralità di punti di vista sia la base per il futuro accordo sociale, e quindi per la collaborazione. Perché il prossimo patto tra le parti sia più democratico e collaborativo, vanno considerati i nuovi parametri e le nuove esigenze su cui stiamo costruendo le attuali abitudini lavorative. Negli anni della pandemia abbiamo assistito allo spopolamento degli uffici, alla migrazione verso città più piccole e timide dal punto di vista attrattivo, alla rivincita dei borghi, delle città natali e di quelle lambite dal mare. Dal fenomeno del south working, ovvero la possibilità di lavorare dal Sud Italia che ha fatto tanto parlare di sé negli ultimi anni, siamo passati alla sua declinazione per ogni latitudine – è il caso del north working, di quei professionisti che lavorano da un bel rifugio sulle Dolomiti. Considerato l’enorme esodo delle Grandi dimissioni, il potere negoziale del personale specializzato è aumentato, e uno degli aspetti su cui ci si ritrova spesso a discutere prima della firma di un contratto è, appunto, da dove poter lavorare.
Secondo il “State of the Global Workplace: 2022 Report” di Gallup, sono 81.396 le ore che in media passiamo al lavoro durante la vita. L’unica cosa che facciamo di più è dormire. Il paradosso del manager che, nella stessa frase, chiede la luna, ma si raccomanda di riposarti per il tuo bene(ssere), non ha più l’appeal paternalistico di una volta. Anzi, salta subito all’occhio negativamente. Lo abbiamo detto: molti lavoratori e lavoratrici hanno definitivamente perso la devozione nei confronti del proprio mestiere. Secondo un’indagine pubblicata a settembre 2023 dell’adp Research Institute, braccio di un’importante società statunitense che monitora i salari, la motivazione tra i lavoratori americani quest’anno è in calo. La maggior parte di loro non prova più appartenenza per il posto di lavoro e questo scollamento incide negativamente sulla produttività. Per citare un esempio italiano, Frank Gramuglia, creator che sui propri canali social racconta con sarcasmo la sua generazione alle prese con il lavoro, nel libro Lavorate voi ha scritto: “Pensavo che i soldi fornissero libertà; ma per avere i soldi bisogna lavorare, e il lavoro toglie la libertà.”
Rispetto al suo posizionamento – diventare l’ironico e cinico emblema della disaffezione verso il lavoro – racconta che a spingerlo è stata la sofferenza più che la pigrizia. “C’è stato un periodo in cui mi ripetevo che non poteva essere questa la mia vita. Lavoravo, ma non arrivavo a fine mese. Ci scherzavo sopra, ma sempre con quella nota di malinconia, perché non riuscivo a pagare l’affitto.”
Alcuni non hanno mai sperimentato la devozione al lavoro, ma per gli altri allocare tempo e sforzi extra sulla propria occupazione è diventato discrezionale, soprattutto per le giovani generazioni. E, per quello che vedo, il mondo è già in mano a loro. Il suono balsamico di un campanile, la danza graziosa dei panni stesi ad asciugare, la controra nei paesini di campagna, tra il frinire dei grilli e il sottofondo di un programma televisivo che va in onda qualche casa più in là. Nel 2023, la vita lenta è diventata un concetto molto attrattivo, al limite dell’idealizzazione, come accade con tutti i fenomeni virali.
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