Qual è il motivo per cui si parla più di alcuni prodotti, idee e stili di vita che di altri?
Vediamo quali sono gli elementi in grado di rendere contagioso un determinato contenuto. Per “contenuto” intendo storie, notizie, informazioni, prodotti, idee, comunicati, video e qualsiasi altra cosa, dalla raccolta fondi organizzata dall’emittente radio locale alle raccomandazioni sul sesso sicuro che cerchiamo di trasmettere ai nostri figli. Per “contagioso” intendo qualcosa che si diffonde con facilità, che ha probabilità di trasmettersi da individuo a individuo grazie al passaparola e all’influenza sociale, qualcosa di cui si parlerà, che sarà condiviso o imitato da consumatori, colleghi di lavoro ed elettori. Nel corso della nostra ricerca, i miei collaboratori e io abbiamo notato alcuni modelli o elementi comuni a una grande varietà di contenuti contagiosi. Una ricetta, se vogliamo definirla così, per rendere più probabile la diffusione di prodotti, idee e stili di vita.
Principio 1. Valuta sociale
Che impressione dà di sé agli altri chi parla di un prodotto o un’idea? La maggior parte degli individui preferisce sembrare intelligente piuttosto che stupida, ricca invece che povera e disinvolta piuttosto che introversa. Proprio come gli abiti che indossiamo e l’auto che guidiamo, gli argomenti di cui parliamo influenzano il modo in cui gli altri ci vedono. Sono una sorta di valuta sociale. Conoscere gli oggetti giusti – per esempio un frullatore capace di sminuzzare un iPhone – ci fa apparire alla moda e aggiornati. Pertanto, per fare in modo che le persone parlino di qualcosa, dobbiamo confezionare un messaggio che le aiuti a veicolare l’immagine di sé che vogliono trasmettere. Dobbiamo scovare ciò che ci rende particolarmente originali e dare a chi parlerà di noi l’impressione di essere a conoscenza di qualcosa di esclusivo. Dobbiamo sfruttare le meccaniche di gioco per offrire alle persone la possibilità di conseguire uno status riconoscibile e mostrarlo agli altri.
Tra gli edifici di mattoni e i vecchi negozi che si affacciano su St. Mark’s Place, nei pressi del Tompkins Square Park di New York, potrete notare un piccolo ristorante, indicato da una grande insegna rossa a forma di hot dog sopra il quale, a mo’ di guarnizione di senape, campeggia la scritta Eat Me. Vi basterà scendere qualche gradino e vi ritroverete in un’autentica tavola calda, uno di quei vecchi locali un po’ appartati dov’è possibile gustare un ottimo hot dog. Sulle lunghe tavolate è disposto ogni genere di salsa e condimento, si può scegliere fra una varietà di videogiochi arcade e, naturalmente, ordinare da un menu strepitoso. La carta offre diciassette tipi diversi di hot dog, ogni genere di würstel che riuscireste a immaginare. Il “Good Morning” è un salsicciotto avvolto nella pancetta, ricoperto di formaggio fuso e completato da un uovo all’occhio di bue; lo “Tsunami” è servito con salsa teriyaki, ananas e cipollotti. I puristi, ovviamente, possono ordinare il “New Yorker”, il classico würstel di manzo grigliato.
Ma provate a guardare oltre le tovaglie di percalle e gli hipster seduti a godersi i loro hot dog. Vedete quella vecchia cabina del telefono nascosta nell’angolo? Non sembra una di quelle in cui Clark Kent entra per trasformarsi in Superman? Avanti, dateci una sbirciatina. Appeso all’interno della cabina vedrete un vecchio telefono a disco, di quelli con i fori. Per cominciare, mettete il dito nel foro corrispondente al numero 2 (abc), ruotate in senso orario finché il disco si ferma, poi rilasciatelo e avvicinate il ricevitore all’orecchio. Sorpresa! Una voce vi risponderà, chiedendovi: “Avete prenotato?” Proprio così: “Avete prenotato?” Ovviamente no. E perché avreste dovuto farlo? Una cabina telefonica nascosta in un angolo di una tavola calda? Ma, a quanto pare, oggi è il vostro giorno fortunato: possono ricevervi lo stesso. Improvvisamente il retro della cabina si apre - un passaggio segreto! – e vi ritrovate all’interno di un bar “clandestino” il cui nome, pensate un po’, è Please Don’t Tell (“Per favore non ditelo in giro”).
Nel 1999, Brian Shebairo e il suo amico d’infanzia Chris Antista decisero di lanciarsi nel mercato degli hot dog. I due erano cresciuti nel New Jersey, dove avevano frequentato locali famosi come il Rutt’s Hut e il Johnny & Hanges, e intendevano portare la medesima esperienza anche a New York. Dopo due anni di “ricerca e sviluppo”, passati in sella alle loro motociclette su e giù per la East Coast alla ricerca dei migliori hot dog, Brian e Chris si sentivano pronti. Il 6 ottobre 2001 aprirono Crif Dogs, nell’East Village. Il nome derivava dal suono uscito dalla bocca di Brian una volta che, mentre masticava un hot dog, aveva cercato di pronunciare il nome di Chris. Il locale ebbe un successo strepitoso e ricevette il premio per il miglior hot dog da numerose riviste specializzate. Tuttavia, con il passare degli anni Brian cominciò a sentire il bisogno di una nuova sfida.
Voleva aprire un bar. Il Crif Dogs aveva già una licenza che gli consentiva di vendere alcolici ma non l’aveva mai sfruttata appieno. Brian e Chris avevano un distributore di margarita ghiacciato e ogni tanto tenevano una bottiglia di Jägermeister nel freezer, ma per fare le cose per bene avevano bisogno di più spazio. Di fianco al loro ristorante c’era una sala da tè che serviva bubble tea, ormai sull’orlo del fallimento. L’avvocato di Brian assicurava che se fossero riusciti a trovare un locale, avrebbero potuto trasferire la licenza per il bar. Dopo tre anni di continue insistenze, alla fine il vicino cedette.
Ora però cominciava la parte più dura. New York straripa di bar. Nel raggio di quattro isolati intorno al Crif Dogs ci sono più di sessanta locali dove si può bere qualcosa. Inizialmente l’idea era quella di aprire un bar in stile rock’n’roll, ma un posto simile non ce l’avrebbe fatta: bisognava pensare a qualcosa che richiamasse l’attenzione, di cui tutti avrebbero parlato e da cui sarebbero stati attirati. Un giorno Brian incontrò per caso un amico che si occupava di antiquariato e aveva un grande mercato delle pulci dove si poteva trovare di tutto, da cassettiere in stile liberty a occhi di vetro, a ghepardi impagliati. Questi gli disse di avere scovato una vecchia cabina telefonica degli anni Trenta in perfette condizioni, che pensava sarebbe stata bene nel suo bar. Brian ebbe un’idea. Quand’era bambino, suo zio faceva il falegname. Oltre a occuparsi della costruzione di case e dei tipici lavori di carpenteria, questo zio aveva ricavato nel seminterrato una stanza che aveva un accesso segreto. Il passaggio non era nascosto alla perfezione, si trattava soltanto di una porta di legno che si mimetizzava con il legno circostante; se si premeva nel punto giusto, si poteva accedere a un magazzino nascosto. Certo non un nascondiglio dove si celava un misterioso bottino, ma comunque uno sballo.
Brian decise di trasformare la cabina telefonica nell’ingresso di un bar clandestino. Ogni singolo particolare del Please Don’t Tell sembra suggerirvi che siete stati ammessi in un posto estremamente riservato. Non troverete un’insegna sulla strada, né annunci su cartelloni pubblicitari o riviste. E l’unico accesso è quello attraverso la cabina telefonica seminascosta all’interno della tavola calda.
Ovviamente, questo non ha senso. I marketer non sostengono forse che una martellante pubblicità e una buona visibilità siano la chiave del successo? Il Please Don’t Tell non si è mai fatto pubblicità; eppure, fin dall’inaugurazione, nel 2007, è stato uno dei locali con il maggior numero di prenotazioni di New York. È possibile prenotare soltanto per il giorno stesso, dalle tre del pomeriggio in poi. Chi primo arriva, meglio alloggia. Gli interessati provano freneticamente a ricomporre il numero, sperando di riuscire a trovare libero. Alle tre e mezzo i posti sono esauriti. Il locale non adotta una strategia aggressiva, non cerca di accalappiarvi all’ingresso né prova a conquistarvi con uno sgargiante sito internet. Si tratta di un tipico “brand da scoprire”. Jim Meehan, il genio creatore della lista di cocktail del Please Don’t Tell, ha ideato l’esperienza cliente del bar esattamente con questo obiettivo. “La migliore pubblicità è data dal passaparola”, sostiene. “Niente è più virale o contagioso di un amico che va in un locale e poi te lo consiglia caldamente.” Ed esiste forse qualcosa di più eccezionale che guardare due persone sparire dal retro di una cabina telefonica?
Nel caso non vi sia ancora chiaro, ecco un piccolo segreto in merito ai segreti: in genere non restano tali molto a lungo. Provate a pensare all’ultima volta che qualcuno ve ne ha rivelato uno. Ricordate quanto vi ha pregato di non dirlo ad anima viva? E rammentate che cosa avete fatto subito dopo? Se siete come la maggior parte delle persone, probabilmente l’avete raccontato a qualcun altro (non preoccupatevi, il vostro segreto è al sicuro con me). Di conseguenza, se qualcosa deve rimanere nascosto, aumentano le probabilità che se ne parli. Il motivo? È valuta sociale. Condividiamo quello che ci fa fare bella figura con gli altri.