Gli individui con un alto livello di autoefficacia sono in grado di superare le difficoltà che incontrano sul loro percorso e continuare a performare al massimo. Non si tratta però delle abilità che un individuo ha, quanto piuttosto del giudizio su ciò che si può fare con tali abilità. La maggior parte delle ricerche sull’autoefficacia nello sport si sono concentrate sull’autoefficacia del compito, ossia la sensazione di essere abili a svolgere con successo un compito. Tuttavia, le prestazioni nello sport si basano non solo sull’esecuzione fisica delle abilità motorie, ma anche sull’elaborazione cognitiva delle informazioni, strettamente collegata ai processi decisionali che devono essere estremamente accurati.
Mettiamo il caso che voi siate il portiere di una squadra di calcio. L’attaccante della squadra avversaria ha superato l’ultimo vostro difensore e ora si trova solo in area di rigore, faccia a faccia con voi. Sulla base della sua velocità, della sua posizione e dei movimenti della palla dovete decidere se rimanere tra i pali e attenderlo, oppure fare uno scatto in avanti, sorprenderlo e portargli via la palla dai piedi. Cosa fate in tale situazione? La situazione che vi ho appena proposto vi può aiutare a capire che esistono diversi tipi di efficacia. Infatti le convinzioni non sono solo limitate dalla capacità di completare un compito, ma anche dalla capacità di far fronte alle diverse minacce come lo stress, i pensieri negativi, il dolore o gli eventi imprevisti.
A questo proposito mi viene in mente un’interessante conversazione che ho avuto nel 2018 con Giorgio Calcaterra, considerato il re delle cento chilometri (ovviamente mi riferisco a corse a piedi di cento chilometri!), vincitore per dodici volte consecutive della 100 km del Passatore e di tre medaglie d’oro ai mondiali nella stessa disciplina. Alla domanda “Non hai mai pensato di correre gare più lunghe delle 100 km?”, lui mi rispose che non credeva di poter gestire il dolore che gare più lunghe comportavano.