Giampaolo Colletti
Nulla è come sembra
Tutti possiamo essere creator di contenuti digitali
Tempo di lettura: 4 minuti
Lo aveva raccontato nel 2012 il Guardian, in un video cinematografico e promozionale che ha fatto la storia. Perché nel mondo capovolto dei social può capitare che il lupo, notoriamente cattivo, si trasformi in un mansueto agnellino, mentre quei tre porcellini da sempre simbolo di innocenza vengano condannati a suon di post e tweet dall’opinione pubblica e messi in gabbia in quanto maledetti impostori. Anzi, di più. Lucidi calcolatori e persino assassini. La leggendaria fiaba dei tre porcellini, pubblicata per la prima volta intorno al 1843 da James Halliwell-Phillipps, viene così rivisitata dalla testata anglosassone per lanciare il video Three little pigs.
Così si è deciso di mettere in scena tutto il peso di quello che abbiamo già definito come potere editoriale diffuso dei cittadini connessi, che oggi in modo più o meno consapevole compartecipano alla creazione della notizia, anche se poi la mediazione giornalistica è quella che fa la differenza in termini di coerenza. Anche per questo video, pluripremiato al Festival della pubblicità di Cannes, il Guardian ha confermato il suo storico claim: “The whole picture”, ossia il quadro intero. Ma mentre questa visione di insieme nel lontano 1984, anno di adozione del messaggio, era declinata esclusivamente grazie al ruolo giornalistico, oggi tutto viene ripensato in un amalgama indistinto che riserva un ruolo centrale all’utente finale. È un tema cruciale che determina una riflessione attiva sul peso specifico dell’opinione del lettore e che comporta uno spostamento di baricentro verso dinamiche relazionali, che in parte vanno a sovrascriversi a quelle meramente giornalistiche.
“I media dovrebbero investire nel business delle relazioni e non soltanto in quello dei contenuti”, ha dichiarato Jeff Jarvis, docente di nuovi media alla Graduate School of Journalism di New York e creatore del popolare blog BuzzMachine. Ma questa ossessione per l’ascolto continuo riscrive anche gli assetti organizzativi delle storiche redazioni. La testata francese Le Monde ha introdotto una nuova figura nell’organigramma, peraltro in posizione apicale: il vicedirettore delle relazioni. “Vogliamo approfondire il rapporto con i nostri lettori. D’altronde la relazione evolve ed ecco perché abbiamo creato questa funzione che risponderà alle domande dei lettori e seguirà gli abbonati”, ha dichiarato nel marzo 2020 Jérôme Fenoglio, direttore di Le Monde.
Dal giornalismo al marketing: lo tsunami di questo protagonismo – tra recensioni social al vetriolo e contatti senza soluzione di continuità tramite customer care – riscrive formati, linguaggi, perimetri professionali, arrivando a incidere pure sul business. Per alcuni analisti si tratta di nuove relazioni immersive tra creator, imprese e consumatori, in questa fase segnata da una crescita esponenziale dei rischi reputazionali. D’altronde l’ascia di guerra è stata dissotterrata e la protesta corre online. “In realtà l’ascia è brandita da tempo, ma si aggiorna grazie alle leve del digitale, alle app, alle class action virtuali. Oggi bisogna temere i consumatori, non soltanto ascoltarli”, ha scritto Ryan Gilbey sul Guardian, segnalando il controllo dei fan sulle pellicole cinematografiche più amate, ossia film e remake creati e fi- nanziati dal basso. Così la moltiplicazione degli schermi e dei canali di relazione e acquisto sta dando nuova vita a un consumatore connesso, consapevole, agguerrito. Un barricadero armato di smartphone. Secondo l’indagine annuale di American Express i clienti raccontano in media a otto persone le loro esperienze positive di acquisto, mentre condividono addirittura con ventuno persone quelle negative.
“C’è una maggiore consapevolezza dell’acquirente. Noi abbiamo intrapreso diverse azioni collettive congiunte su diversi Paesi europei, ma non vediamo nelle grandi aziende nemici da colpire. Abbiamo un’occasione importante: scrivere un nuovo patto sociale con le imprese per disegnare un nuovo mercato”, ha affermato su Il Sole 24 Ore Marco Pierani, direttore Public Affairs & Media Relations di Euroconsumers, organizzazione internazionale dei consumatori presente in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio e Brasile. In fondo tutto si gioca sulla fiducia. E quando viene a mancare può avere effetti devastanti sulla tenuta delle aziende e sul loro business. Per comprendere l’esordio e l’efficacia delle video-denunce dei consumatori, che diventano veri e propri creator, bisogna tornare indietro nel tempo: su YouTube, nel 2009, viene caricato un videoclip realizzato da Dave Carroll, musicista inferocito con la United Airlines. Durante un volo il vettore americano ha danneggiato la sua chitarra, senza far seguire scuse o rimborsi. Dopo infiniti reclami la compagnia si rifiuta di pagare i danni e così Carroll incide la suarabbia. “United hai rotto la mia chitarra, l’hai rotta e dovresti aggiustarla, sei responsabile e devi ammetterlo, avrei dovuto volare con qualcun altro o andare in auto.” Il pezzo diventa presto una hit, registrando milioni di views e approdando persino sulla CNN, con relativo danno reputazionale ed economico per la United Airlines.
Negli anni anche il mondo legato all’attivismo ambientale è riuscito a usare la rete come una “clava”. Greenpeace ha portato a termine un’operazione senza precedenti: grazie a un video ha messo in luce le relazioni commerciali della Lego col colosso Shell. Oggetto del contenzioso: le trivellazioni nell’Artico a opera della multinazionale petrolifera. Il video, con annessa raccolta firme, ha portato ben 250.000 utenti a sostenere la rescissione dei contratti tra le due aziende, cosa che poi è avvenuta per davvero. Nel mondo connesso le denunce non si esauriscono nelle campagne di marketing, ma si spingono a ridefinire i business plan delle aziende. Ecco perché per i brand di ogni settore è strategico mettersi in ascolto del mercato, senza però mai snaturarsi. D’altronde oggi la coerenza e l’autenticità generano capitale reputazionale, rilevante quanto quello economico.
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