Quanto ho atteso questo momento!
Nelle giornate buie, quando il ritorno sembrava un miraggio, la mia mente visualizzava questo luogo, si aggrappava come un naufrago alla forza della terra e alla profondità della coscienza. Sentivo che un giorno sarei tornato dove i miei pensieri erano diventati Sankalpa: le mie intenzioni “pure” di poter essere al servizio del maestro per portare benessere, gioia e contribuire alla felicità delle persone.
Osservo le fronde dell’albero che tante volte ho disegnato nei miei pensieri perché non andassero alla deriva: hanno una forma particolare, a cuore rovesciato. Dicono che ciascuna foglia rappresenti la scrittura vedica dei testi più sacri. Per me è stato un vero sacrificio stare lontano e, non a caso, l’Albero della meditazione viene anche definito “il luogo delle rinunce, delle penitenze”.
Siamo portati a pensare alla rinuncia e alla penitenza come momenti negativi. In realtà, dovremmo porci una domanda: che cosa ci facciamo qui, in questa vita, su questo pianeta? Siamo qui per accumulare peso, fardelli e zavorre o forse per apprendere a rinunciare a ciò che ci limita, per liberarci da tutte le nostre inquietudini, dai nostri falsi possedimenti? Rinunciare non significa fare a meno di qualcosa o di tutto, ma evitare di caricarsi del superfluo. La penitenza non è mortificare il proprio corpo fisico, la penitenza è portare la nostra attenzione dal mondo esterno a quello interno. Non dovremmo però demonizzare l’esteriorità, perché è ciò che ci consente – con gli inesauribili desideri, con i suoi falsi bisogni, gli attaccamenti creati dai sensi – di calarci nel mondo interiore. Si tratta di una sorta di soglia da oltrepassare. C’è un momento della vita, se siamo in autentica ricerca, se vogliamo ascoltare i nostri bisogni interiori, in cui ci rendiamo conto che la ricerca della felicità e della gioia rimane senza esito se riposta solo nei beni e nelle
conquiste materiali. La pace vera, la quiete della mente, il ristoro dell’anima abitano solo dentro di noi.
Richard Romagnoli