Dopo il dessert, vedo il capo del team della Faster Racing che attraversa il padiglione. Ha i capelli castani, lisci e una barba sottile. Si chiama Edwin e credo che sia sulla quarantina. Ho sentito da qualche parte che ha sposato una pop star, ma non ricordo esattamente quale. Passa davanti a quasi tutti i tavoli e saluta molte persone. La gara è finita, ma a quanto pare la sua giornata ancora no. Stringe la mano e si fa fotografare con numerosi ospiti. Saluta anche il nostro ex presidente del consiglio e si fa un selfie con lui. Pochi istanti dopo il padiglione inizia a svuotarsi. Anch’io sono pronto ad andare, ma quando vedo Edwin seduto all’angolo del bar, non riesco a contenere la mia curiosità e vado da lui.
Mi avvicino con esitazione: “Mi scusi, Edwin, posso chiederle una cosa?” Per fortuna, il mio inglese è ancora abbastanza buono e, come con Mark, riesco a intrattenere una conversazione. Lui sbadiglia un po’, si stiracchia e poi risponde abbastanza energicamente: “Certo. Cosa posso fare per lei?” Continuo: “Mi chiamo Valerio Petri ed ero nel box con lei durante la gara.” Edwin mi guarda con aria interrogativa: “Ah sì, ora ti riconosco. Ho visto che hai anche parlato con Mark per un po’, tra la gara e il debriefing. Lui lo fa raramente, di solito si lancia nella sala riunioni.” Mi piace sentire che è stato un momento speciale. Mi sembrava che lo fosse e anche Edwin l’aveva notato. Chiedo: “Ho ascoltato il vostro debriefing attraverso le cuffie. E ho notato che la conversazione dura quasi più a lungo dell’intera gara. Perché gli dedicate così tanto tempo?” Edwin mi guarda sorpreso, come se avessi appena fatto una domanda stupida. “Be’, in realtà è una questione di buon senso. Devo davvero spiegarlo?” Ricordo che Mark ha detto qualcosa di simile. “Uh, sì per favore”, rispondo.
Edwin prima fa un cenno ordinando qualcosa da bere al barista, il quale sembra sapere immediatamente che cosa voglia. Poi comincia: “Se migliori un po’ ogni giorno, il tempo risolverà tutti i tuoi problemi. Inoltre, tutte le squadre da corsa lo fanno, quindi se non migliori continuamente, in poco tempo ti ritroverai a inseguire gli altri.” Lo guardo con un’espressione interrogativa. “Durante il debriefing, discutiamo su cosa può essere migliorato la prossima volta. Guadagniamo il tempo che investiamo in questo tipo di attività. Durante il weekend di gara, abbiamo un ritmo fisso, con altri cinquanta momenti di condivisione pianificati, che utilizziamo per riflettere e imparare.” Cinquanta di questi incontri in un fine settimana? Non può essere vero. È persino peggio di tutte le riunioni che ho con la FCCG ogni settimana. Il barista porge a Edwin una lattina di soda. Lui beve un sorso e continua: “Stasera trasporteremo l’intero circo al circuito in Russia, dove correremo fra una settimana. Questo ci lascia circa quattro giorni per costruire una macchina migliore. Usando i dati e le informazioni che abbiamo raccolto durante il debrief, mi aspetto che faremo circa settecentocinquanta piccoli e grandi miglioramenti prima della prossima gara.”
Sono stupito. “Così tanti? Settecentocinquanta! Come fate a realizzarli così rapidamente?!” “Il trucco è rendere il nostro ciclo produttivo il più breve possibile. Il tempo di ciclo è il tempo che ci vuole per passare da un’idea a un componente dell’auto funzionante, testato e migliorato. Più veloce è il ciclo, più innovazioni possiamo apportare prima della prossima gara. Poi possiamo sperimentare nella pratica quali aggiornamenti rendano davvero la macchina più veloce. Ecco perché le sessioni di prove libere del venerdì sono così importanti per noi. Lì impariamo cosa funziona e cosa no.” Ora inizia a parlare come una sorta di guru della gestione. Mi chiedo se dovrei iniziare a prendere degli appunti, ma non ho carta e penna. Edwin beve un altro sorso e continua: “È essenziale che tutti sappiano quali sono le priorità. Ecco perché ogni lunedì mattina abbiamo una riunione con tutto il personale in cui discutiamo ciò che abbiamo imparato. E sono tutti presenti. Così tutti sanno quali sono le priorità e il lavoro viene di conseguenza.”
Rispondo incredulo: “Certo. Con mille persone? Nella mia azienda lavorano solo poche centinaia di persone, ma da noi non succede niente in automatico.” Beve il resto del suo drink e fa una pausa prima di dire in tono comprensivo: “Sì, eravamo in una situazione simile qualche tempo fa. Qualche anno fa la stagione non è andata affatto bene. Non siamo riusciti a finire nemmeno tra i primi dieci. I nostri azionisti sono diventati impazienti e ci hanno messo i bastoni tra le ruote. Ho mantenuto una presa salda e ho fatto molta pressione sui miei collaboratori. Io stesso supervisionavo ogni processo e mi assicuravo che nessuno battesse la fiacca. Quando le cose non sono migliorate, ho assunto un consulente di gara che ho incaricato di analizzare e migliorare i processi. Questo in realtà ha peggiorato la situazione perché ha introdotto diversi tipi di procedure complicate.” Mi suona terribilmente familiare. Poi inizia addirittura a sussurrare: “Ti dirò qualcosa che non molti sanno. La pressione sulle mie spalle era diventata insostenibile. Mi sentivo sopraffatto e non riuscivo più a pensare chiaramente. Vedevo mia moglie e i miei figli sempre meno spesso, così anche il fronte domestico smise di sostenermi. Alla fine, sono finito in ospedale con una grave polmonite.” Ho sussultato per lo shock: sembrava che stesse parlando di me. L’ultima cosa che voglio è dover essere ricoverato in un ospedale. Sento che devo stare attento. Chiedo: “Accidenti! Cosa hai fatto?”
“Beh, è stato quando ero in ospedale che ho capito che l’accelerazione è una questione di semplice fisica.” Io dico, concisamente: “Fammi indovinare: l’accelerazione è la forza divisa per la massa?” I suoi occhi si illuminano e reagisce con entusiasmo: “Sì, esattamente! Come facevi a saperlo? Oh, ho capito: Mark, giusto?” Rispondo: “Eh, sì, ne ho parlato con lui.” Lui continua: “Le leggi di Newton sono la base delle corse automobilistiche. Ma proprio come un’auto, anche una squadra da corsa deve essere leggera e agile. Semplicemente non c’è tempo per la burocrazia. Meno massa c’è nell’organizzazione, più facile è l’accelerazione. Mantengo l’organizzazione snella e semplice. Uno dei modi in cui otteniamo questo risultato è porre questa domanda durante la nostra riunione settimanale: cosa fai nel tuo lavoro? Andiamo a ricercare ogni sorta di cosa che possiamo eliminare o semplificare: procedure inutili o processi di approvazione, momenti di passaggio di consegne, altre riunioni, eccetera. Queste cose una volta erano previste per una buona ragione, ma spesso, col tempo, non sono più necessarie. Spesso possiamo raggiungere lo stesso risultato in un modo molto più semplice. E se è possibile rimuovere completamente l’attività, è ancora meglio. Meno è meglio.”
Improvvisamente penso a quello che ha detto Mark, il pilota: fisica elementare. La massa ti rallenta! Rimuovi le cose che non servono per diventare più veloce. Geniale! Quando le cose non vanno bene, spesso si interviene aggiungendo regole o apportando modifiche. Ma anche eliminare le cose è una possibilità, e forse addirittura migliore. Chiacchieriamo a lungo. Il tempo sembra fermarsi e dimentico tutto ciò che mi circonda. Oltre alla massa, parliamo anche della forza. Edwin dice con entusiasmo: “Nel corso degli anni ho imparato che, come manager, non puoi portare avanti l’intera organizzazione da solo. Il tuo impulso naturale è quello di voler sapere tutto, prendere decisioni su tutto, e dire alle persone esattamente cosa fare. Anche se sei l’uomo più intelligente o più forte della Terra, questo non è possibile. In un’organizzazione, ognuno deve mettere le mani sul volante e usare la propria capacità di pensiero. Questo diventa possibile solo se hai il coraggio di fidarti delle persone e sfrutti la loro intelligenza collettiva. Lo applico facendo in modo che tutti siano coinvolti, si assumano la responsabilità e agiscano di conseguenza.”
Mi sembra una favola. Rispondo: “I dipendenti che si assumono la responsabilità e sono coinvolti… I nostri dipendenti sono coinvolti, ma si preoccupano soprattutto di loro stessi e del loro reparto. Fanno quello che vogliono e non sembrano preoccuparsi di quello che stiamo cercando di ottenere come azienda. Sono anni che cerco di cambiare questa situazione, ma in qualche modo non ci riesco. Sembra che non lo vogliano.” Mi guarda di nuovo come se fossi stupido: “Be’, in realtà, è molto semplice, Valerio. Se continui a fare il micromanager, la gente si tirerà indietro. Se vuoi dipendenti coinvolti, devi solo coinvolgerli nei processi decisionali.” Sorrido, pensando che questo potrebbe essere un comandamento. Se vuoi persone coinvolte, allora devi solo coinvolgerle. Edwin guarda l’orologio e improvvisamente afferra la sua borsa in fretta e furia. Dice: “Devo andare, sono già in ritardo. Buona fortuna, Valerio. E ricorda: non puoi costringere le persone a prendersi delle responsabilità, devono volerlo fare da sole.” Si alza ed esce di fretta dal padiglione. Gli lancio dietro un “Sì, ma come?”, ma non mi risponde. Guardo la lattina di soda vuota e vedo che ha lasciato il suo biglietto da visita con il suo numero di cellulare. Lo metto rapidamente in tasca.