Richard Shotton
In che modo il contesto influenza le nostre scelte?
I fattori contestuali sono spesso più importanti della personalità nella determinazione del comportamento.
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Vi chiudete rumorosamente alle spalle la porta di casa e vi dirigete verso la vostra macchina, che per mancanza di parcheggi è posteggiata a circa trecento metri da lì. A metà strada vi imbattete in un mendicante, accovacciato davanti a un portone. Una folla di pendolari indaffaratissimi gli passa davanti senza fermarsi. Notate in particolare un uomo in abito gessato che allunga il passo, distoglie lo sguardo e si allontana in fretta. “Accidenti, oggi la gente è maledettamente egoista”, pensate. Cercate frettolosamente nelle tasche qualche spicciolo da regalargli. C’è solo una monetina da cinque pence, perciò allungate il passo e guardate da un’altra parte. Il vostro assunto sull’egoismo dell’uomo d’affari in abito gessato è un tipico esempio dell’errore fondamentale di attribuzione, ossia la tendenza a sovrastimare l’importanza della personalità e a sottostimare l’importanza del contesto quando si cerca di spiegare un comportamento. Avete giudicato il comportamento di quell’uomo facendo riferimento alla sua personalità anziché a fattori momentanei come il suo umore, i suoi impegni o la sua mentalità. È un errore molto comune e ha implicazioni importanti sul targeting delle nostre comunicazioni.
Nel 1973 due psicologi della Princeton University, John Darley e Daniel Batson, pubblicarono uno studio fondamentale sull’argomento, intitolato “From Jerusalem to Jericho” Lo studio dimostrava come dei fattori contestuali apparentemente marginali avessero un’influenza significativa, ma sottovalutata, sul comportamento. Darley e Batson chiesero a quaranta seminaristi cattolici di compilare dei questionari sulla loro motivazione a far parte del clero. L’obiettivo dell’indagine era capire se volessero dare una mano al prossimo o salvarsi l’anima. Dopo la compilazione dei questionari, i due psicologi chiesero loro di registrare una conversazione di cinque minuti su un determinato argomento. Siccome in quella stanza non c’era abbastanza spazio, i seminaristi vennero spediti, con una cartina in mano, da un collega che li aspettava in un edificio situato a pochi minuti di cammino. Poco prima che uscissero, veniva ricordato loro quanto tempo avessero a disposizione prima che iniziasse la registrazione. A un terzo del campione i ricercatori hanno detto: “Sei in ritardo. Ti aspettavano cinque minuti fa. Datti una mossa. L’assistente dovrebbe essere lì ad aspettarti, perciò faresti meglio ad affrettarti.” Era la condizione di massima fretta.
A un altro terzo, nella condizione di fretta intermedia, hanno detto: “L’assistente è pronto a riceverti, perciò vacci subito.” E all’ultimo terzo, nella condizione di minima fretta, hanno detto: “Saranno pronti a riceverti tra poco, ma potresti già presentarti. Male che vada, dovrai aspettare qualche minuto.” I partecipanti allo studio venivano allocati casualmente, e separatamente, ai diversi gruppi.
Mentre si dirigevano, camminando o correndo, verso la destinazione indicata, quei seminaristi passavano davanti a un “complice” degli psicologi, che fingeva di star male. Era accovacciato in un portone a testa china e con gli occhi chiusi, e quando loro si avvicinavano gemeva e tossiva. Era la fase cruciale dell’esperimento: quali seminaristi si sarebbero fermati ad aiutarlo? Alla fine, il 40% dei partecipanti all’esperimento si sono fermati. La determinante principale era la fretta percepita. Nella condizione di massima fretta, si è fermato solo il 10%, contro il 45% nella condizione di fretta intermedia e il 63% nella condizione di minima fretta. Per contro, il fattore personalità aveva un impatto minimale. La ragione per cui ognuno di quei seminaristi aveva scelto la carriera ecclesiastica non contava praticamente nulla. Era la situazione, non la persona, a determinare il comportamento.
La scoperta più importante che deriva da questi esperimenti è che i fattori contestuali sono spesso più importanti della personalità nella determinazione del comportamento. Ciò sfata uno dei miti più radicati nella pubblicità: che i brand debbano identificare un pubblico-target, su cui andranno poi a focalizzare le proprie comunicazioni. L’esperimento ci porta a concludere che i brand dovrebbero concentrarsi su contesti-target, oltre che su pubblici-target. Nei capitoli successivi avremo la possibilità di vedere come i contesti incoraggino certi tipi di comportamento. Il contesto è cruciale. Ma non possiamo sapere con certezza quale sia. Dobbiamo sottoporre le nostre ipotesi a semplici test per valutarne l’effetto sul nostro brand, nel nostro mercato. Come ha detto il premio Nobel Richard Feynman: “Non conta quanto è bella la tua teoria, e non conta quanto sei intelligente. Se non collima con gli esperimenti, è sbagliata.” Una teoria psicologica al tempo stesso bella e supportata da ampie evidenze sperimentali è quella della riprova sociale, di cui parleremo nel capitolo successivo.
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