Eccovi un piccolo segreto: gli sportivi vogliono vincere, sì, ma soprattutto sono allergici alla sconfitta. Un tizio disse una volta: “Vincere non sarà mai bello quanto è brutto perdere, perché la sensazione della sconfitta è molto più prolungata.” Non è solo questione di vincere, è questione di non perdere. E siccome nel basket non esiste pareggio, non resta che fare almeno un punto in più degli avversari. Un canestro, uno smarcamento, un furto di palla, un passaggio ben riuscito. Io vivevo per questo. E il pubblico! Migliaia di persone che gridano il tuo nome, un tuono di esultanza che accompagna i tuoi giochi di prestigio. Sei un mago e quando tiri il pallone vola e vola e vola seguito da migliaia di occhi spalancati mentre il tempo si prende una vacanza. E lui, sia benedetto il pallone, entra nel cesto con un sibilo, un sospiro orgasmico. Braccia al cielo, i tifosi esplodono in un grido liberatorio che fa tremare le pareti del palazzetto. E vai di ormoni e neurotrasmettitori! Un’altra overdose di vita e successo. Scambi un cinque con un compagno di squadra, alzi le braccia, ti senti un dio. Il tuo cocktail biochimico te lo conferma. Ma l’altra verità è che sei strafatto e non te ne rendi conto, perché ormai essere costantemente su di giri fa parte di te, ti rende un atleta migliore, una persona nata per vincere, pura energia.
Poi, un giorno, le partite finiscono e scopri che non c’è nessuna San Patrignano in cui gli ex professionisti dello sport possano imparare ad abituarsi alla grigia vita di tutti i giorni, quella che chiunque non sia cresciuto fra gli applausi ha avuto modo di imparare a valorizzare. Io non avevo idea di come si vivesse nel mondo reale. Ero un ex tossicodipendente inconsapevole. La mia droga era la vittoria. Un bel casino.